"Massima cautela", ma per chi?

Luciano Capone

Il mix vaccinale formalmente “non appare essere sconsigliabile”, ma nella sostanza diventa obbligatorio seppure mai sperimentato. Il Cts e l'Aifa usano il principio di precauzione solo per tutelare se stessi, esponendo però i cittadini a rischi ignoti

La chiamano “massima cautela”, ma per chi? La decisione delle autorità sanitarie, il Cts e l’Aifa, e delle autorità politiche, il ministero della Salute il commissario straordinario, di autorizzare e imporre il mix eterologo con vaccini a mRna per la popolazione under 60 che ha ricevuto una prima dose di AstraZeneca è stata giustificata con il solito principio di precauzione. Ma non si è ben capito a tutela di chi sia tutta questa “precauzione”. Nella conferenza stampa con il ministro Roberto Speranza, il coordinatore del Cts Franco Locatelli, prima di illustrare le ragioni del mix vaccinale, ha premesso che per le seconde dosi di AstraZeneca “tutti i dati dicono che i fenomeni trombotici sono straordinariamente rari: in Italia non sono oggi riportati casi dopo la seconda dose”. Nonostante questa premessa, “ispirandosi a un principio di massima cautela” e “per tutelare con un’attenzione suprema la salute degli italiani”, il Cts e il governo hanno deciso di imporre la vaccinazione eterologa “pur in assenza di segnali di allerta preoccupanti”.

 

Ma se non c’è un pericolo concreto, rispetto a cosa si usa “massima cautela”? Forse che rispetto ai rischi teorici della seconda dose di AstraZeneca il Cts ha dati più solidi secondo cui questo rischio infinitesimo sarebbe inferiore nel caso di un mix vaccinale? Niente affatto. Il Cts, nel verbale sulla base del quale il governo ha deciso di imporre la vaccinazione eterologa, riesce a quantificare con una certa precisione l’incidenza degli effetti avversi gravi dopo la seconda dose AstraZeneca: “Secondo stime provenienti dal Regno Unito sono pari a 1,3 casi per milione, valore che corrisponde a meno di 1/10 dei già rari fenomeni osservati dopo la prima dose”, precisando però che in Italia non è stato registrato neppure un caso dopo la seconda dose. Ma non è in grado di quantificare se e quale potrebbe essere l’incidenza di eventi avversi gravi dopo una vaccinazione eterologa. Per il semplice fatto che non esistono dati a riguardo. Gli unici studi preliminari riguardano poche centinaia di persone e non sono affatto sufficienti a dare un’idea sulla maggiore sicurezza. D’altronde, gli eventi avversi rari correlati al vaccino di AstraZeneca non erano mai comparsi nella sperimentazione sicuramente più completa e ampia che coinvolgeva decine di migliaia di individui, ma si sono manifestati solo dopo milioni e milioni di somministrazioni in tutta Europa. Le autorità stanno quindi costringendo i pazienti che avevano firmato un consenso informato per due dosi di AstraZeneca ad abbandonare un rischio calcolato per entrare – “in assenza di segnali di allerta”, come dice il prof. Locatelli – nel regno dell’incertezza e del rischio ignoto.

 

Ma dov’è quindi la “massima cautela”? La massima cautela è quella che i componenti del Cts riservano a se stessi. Perché nel verbale tutta quella “perentorietà” tradotta da Speranza nella circolare del ministero della Salute non c’è. Il Cts infatti scrive che, sulla base dei dati disponibili, la vaccinazione eterologa “non appare essere sconsigliabile”. Non esiste, probabilmente, nella lingua italiana una forma più cauta di questa. E’, evidentemente, una formula elaborata grazie alle competenze dei giuristi componenti del Cts e ispirata alla “massima cautela”. Principio di precauzione, quindi, per i membri del Cts che così non si assumono la più minima e remota responsabilità e ribaltamento dei rischi ignoti sui cittadini per cui il “non appare essere sconsigliabile” si traduce in un obbligo contrario al protocollo scientifico (ancora oggi, sul foglio illustrativo del vaccino AZ pubblicato sul sito dell’Aifa c’è scritto: “Non ci sono dati disponibili sull’intercambiabilità di Vaxzevria con altri vaccini anti-Covid-19 per completare il ciclo di vaccinazione. I soggetti che hanno ricevuto la prima dose di Vaxzevria devono ricevere la seconda dose dello stesso vaccino per completare il ciclo di vaccinazione”). C’è anche un tema di sanità pubblica, che riguarda chi vuole, come previsto dal consenso informato che è stato firmato, la seconda dose di AZ e non sarebbe disponibile alla vaccinazione “eterologa” con Pfizer o Moderna, esponendosi così a un’immunizzazione incompleta. Sempre seguendo il principio guida del non assumersi responsabilità, il governo potrebbe fare un passo indietro e consentire quantomeno una libertà di scelta.

 

Sempre dal punto di vista legale, è interessante la pezza a colore messa dall’Aifa. In maniera piuttosto singolare, l’autorizzazione al mix vaccinale è arrivata solo il 13 giugno, due giorni dopo la decisione del ministero della Salute: la politica traccia il solco e l’ente regolatorio, a seguire, lo difende. Ma è insolita anche la modalità attraverso cui è arrivato il via libera. Nel suo parere la Commissione tecnico scientifica dell’Aifa scrive che “esprime parere favorevole all’inserimento nell’elenco dei farmaci di cui alla legge 648/1996 di Comirnaty e vaccino Covid-19 Moderna come seconda dose per completare un ciclo vaccinale misto, nei soggetti di età inferiore ai 60 anni che abbiano già effettuato una prima dose di vaccino Vaxzevria”. La norma richiamata, in effetti, consente l’erogazione a carico del Sistema sanitario nazionale di farmaci non ancora autorizzati ma in corso di sperimentazione, oppure di farmaci autorizzati ma per un’indicazione terapeutica differente da quella approvata (off-label). Ma la legge 648/1996 si basa su un presupposto: “Qualora non esista valida alternativa terapeutica”.

 

E non è affatto questo il caso, perché una “valida alternativa terapeutica” esiste eccome: è proprio la doppia dose di AstraZeneca, che ha superato tutti gli step dell’iter autorizzativo e resta approvato per tutte le fasce d’età sopra i 18 anni. La legge quindi vuole consentire l’uso off-label dei farmaci se non esiste una terapia efficace e sicura, ma in questo caso viene usata per fare l’esatto contrario. Con il combinato disposto del parere dell’Aifa e della circolare del ministero, si sottrae ai cittadini la possibilità di accedere a una valida terapia autorizzata per costringerli a seguire un protocollo non sperimentato. E’ il ribaltamento del senso delle leggi e lo stravolgimento del concetto di “massima cautela”.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali