La lunga fila alla Fiera di Bologna per il primo Open Day in Emilia Romagna (Ansa)

Il Foglio salute

Bene gli open day vaccinali, ma organizzateli meglio

Rosaria Iardino*

Il caos a Bologna e la necessità di procedure chiare per far sì che la coscienza civile di chi sceglie di vaccinarsi venga premiata e non esasperata

Prosegue la corsa al vaccino con gli open day sdoganati da Paolo Figliuolo, il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 e per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale. Le regioni si stanno muovendo a macchia di leopardo con risultati diversi a seconda di come si è deciso di procedere. Il modello bolognese è stato decisamente fallimentare: era prevedibile che ci fosse un’adesione molto alta di cittadini visto che le dosi a disposizione erano quelle del vaccino Janssen che prevede un’unica somministrazione, col via libera dunque a un’estate senza richiami e vacanze interrotte, ed era altrettanto prevedibile che a raggiungere l’hub vaccinale della fiera di Bologna fossero principalmente giovani che in questo modo avrebbero avuto una promessa di libertà.

 

A questi ragazzi che si sono letteralmente accampati davanti agli ingressi in piena notte si perdona anche la violazione del coprifuoco, che si è visto non essere più molto presidiato dalle forze dell’ordine in seguito ai progressivi slittamenti d’orario e alla sua prossima eliminazione e anzi, c’è quasi un moto d’orgoglio nel vedere che la popolazione risponde attivamente agli inviti a vaccinarsi. Però c’è anche l’altro lato della medaglia, ovvero quello che racconta di come promuovere un open day senza avere un minimo di organizzazione alle spalle sia un azzardo che non ci si potrebbe permettere in situazioni normali, figuriamoci in questa. L’autogestione non può essere contemplata: non si può pensare che debbano essere le persone in fila a redigere le liste di ingresso, non si può immaginare che una volta resisi conto che il numero di chi era in coda superava di gran lunga quello delle dosi che si sapevano essere disponibili non ci si agitasse, e ha pesato l’assenza delle forze dell’ordine che sono arrivate quando la situazione stava già degenerando. Bene l’entusiasmo dunque, meno bene che un momento che poteva raccontare il senso di responsabilità di un popolo sia diventato un rave party senza nessun tipo di contenimento.

 

E infatti questo modello sembra aver già fatto il suo tempo perché, salvo qualche eccezione come quella della Toscana dove sono stati aperti degli open day col vaccino Astrazeneca, la maggior parte delle regioni ha scelto di abbracciare il modello delle vaccinazioni last minute ma con prenotazioni per evitare assembramenti e soprattutto i disordini che si sono verificati a Bologna. La stessa Emilia Romagna procederà con delle giornate su prenotazione fino a esaurimento scorte, e non pare ci sia un altro modo per procedere. E mentre la vicenda Bologna è pronta ad approdare in Parlamento con un’interrogazione al ministro Roberto Speranza, occorre fare una riflessione su quanto accaduto da un punto di vista sociale. Molti hanno puntato il dito contro l’incapacità degli italiani di rispettare le regole e di autodisciplinarsi. Partirei col dire che la disciplina si basa su un complesso di norme, e che se queste norme non ci sono è difficile capire cosa sia giusto fare e come farlo; certo viene da pensare che stare in fila non sia la cosa più complicata del mondo, ma basta andare in un ufficio postale alle ore di punta per rendersi conto che le cose non funzionano sempre così. Ancora una volta non si invoca uno stato militarizzato, ma si chiedono delle procedure dove si possa essere guidati per far sì che la coscienza civile di chi sceglie di vaccinarsi venga premiata, non declassata all’esasperazione.

 

Rosaria Iardino, presidente Fondazione The Bridge

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