manifestazione degli psicologi davanti a Montecitorio, novembre 2020 (ansa)

salute

Anche se serve, che stress il lockdown

Mario Benedetto

Le ricadute negative del disagio psicologico crescente su economia e società

La contagiosità che continua a tenere tutti con il fiato sospeso è quella di un virus che non molla la presa sulla popolazione globale. Parallelamente c’è quella dello stress e della paura, che ne è diretta conseguenza, capace di generare reazioni e stati d’animo che sono, per tutti, l’ulteriore peso da sopportare nel corso di una crisi, dunque, generalizzata. Gli specialisti chiamati a confrontarsi con il versante psicologico di questa situazione continuano, infatti, a registrare una condizione di stress diffuso, al di là di specifici casi che richiedono cure e attenzioni particolari. Facciamo oggi un nuovo punto della situazione con David Lazzari, past president della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimunologia e presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi. Avete misurato periodicamente il livello di stress degli italiani: che fotografia ci fa della situazione attuale? Lo stress descrive il rapporto che c’è tra la persona e il contesto: se il livello è elevato vuol dire che ci sono problemi. La dinamica normale prevede che l’impennata dello stress sia seguita da un periodo di recupero, se non accade questo c’è una situazione di stress cronico, che è negativa da molti punti di vista. Nella prima fase della pandemia c’è stata una impennata, l’indice è passato da 52 a 65 all’inizio del lockdown. Poi l’estate ha portato a un calo, ma dall’autunno le cose si sono complicate e oggi abbiamo gli stessi indici del lockdown, questo vuol dire che è quasi un anno di livelli del tutto anomali di stress, il 40 per cento della popolazione tra 80 e 100 su 100. Cosa accade alle persone in questa condizione è materia oramai molto studiata: sappiamo come lo stress cronico impatta sulla salute e sulle situazioni della vita. Quali fattori hanno pesato di più? Ci sono condizioni oggettive – il Covid, l’economia, i diversi sacrifici e cambiamenti – ma poi ci sono tante situazioni che dipendono dalle scelte o dalle non scelte umane: la comunicazione, spesso terroristica e confusiva, l’incertezza sulle prospettive, le percezioni su come si sta gestendo la pandemia e organizzando la ripresa, le singole scelte per contrastare il virus. Quali, invece, le problematiche più diffuse e come incidono, su esse, fattori come la genetica e l’ambiente? Gli studi di genetica ed epigenetica hanno chiarito che la salute è un equilibrio, sono rarissime le malattie solo genetiche. I geni lavorano in relazione alle nostre esperienze, alle relazioni, alla nostra capacità di affrontare le situazioni, al nostro “essere”: investire su questi aspetti è fondamentale per prevenire disturbi e malattie, promuovendo le nostre competenze soggettive di vita. Oggi vediamo una popolazione “esaurita” come si diceva una volta, e questo disagio è il carburante per disturbi e malattie, sia psichiche che fisiche. Cito qualche dato: le persone con stress cronico elevato hanno quasi il doppio del rischio per malattie cardiovascolari o il 60 per cento in più per diabete e questo a parità di condizioni di salute, di reddito e di stile di vita (La Psiche tra Salute e Malattia, 2020).

Oggi desta molte preoccupazioni anche la situazione economica. Qual è il rapporto tra essa e lo stato di salute psicologica? Perché, in tale contesto, si dovrebbero investire risorse per la salute psicologica? Perché c’è un rapporto tra psicologia ed economia: chi sta male psicologicamente è meno produttivo, rende meno per sé, per la famiglia e per la società, può chiudersi, divenire negativo o aggressivo, con ricadute chiare su economia e sul clima sociale. Pensare al trend psicologico come avulso da quello economico o come una semplice conseguenza vuol dire non conoscere gli studi in materia. E questo al di là del costo delle malattie psichiche e fisiche o dei suicidi che possono scaturire da questa condizione. Ci sono psicologi che hanno preso i Nobel per l’economia su queste cose. Lo stress psicologico ha un costo elevato. Come intervenire su un fenomeno così diffuso? Siamo condizionati dall’idea che gli interventi per la psiche sono sempre individuali e lunghi, ma non è così. Esistono interventi psicologici, anche di gruppo, efficaci e vantaggiosi economicamente, per ogni euro speso abbiamo un ritorno di quasi un euro e 89 centesimi, ma la strategia diffusa si basa su reti di ascolto e promozione collettiva delle risorse psicologiche, resilienza in primo luogo. La scuola, i contesti sanitari, del welfare o le organizzazioni sono i luoghi per l’attivazione di programmi definiti di empowerment psicologico di comunità. Sono stati lanciati allarmi su un potenziale abuso di farmaci in relazione a questo disagio psicologico. Viviamo in una società che parla tanto di persone ma poi le tratta come “macchine umane”, comandate da regole biologiche o sociali: in mezzo non c’è praticamente nulla. Una visione che nega la realtà: cioè che noi siamo soprattutto la nostra psiche, i nostri vissuti, emozioni, sentimenti, relazioni, valori, obiettivi… Ognuno di noi è una sintesi unica di biologia e società, sennò saremmo tutti cloni, e questa sintesi, la nostra psiche, fa di noi ciò che siamo. Quando la psiche soffre c’è bisogno di ascoltare, capire, aiutare a costruire nuovi strumenti e percorsi. I farmaci possono aiutare in certi momenti e nelle situazioni più gravi, ma la risposta psicoterapica è nella maggior parte dei casi più efficace e duratura. E anche quando il farmaco è utile l’abbinamento alla psicoterapia ne moltiplica gli effetti positivi. Il rischio di un abuso farmacologico è reale, e i dati di aumento dei consumi lo dimostrano, perché nel pubblico non si fa più psicoterapia per mancanza di psicologi e le persone spesso non hanno soldi per andare nel privato. Quali sono le vostre proposte? Abbiamo avanzato proposte concrete e sostenibili, ma con la spesa pubblica esistono tre atteggiamenti della politica: moltiplicarla indebitandosi, tagliare indiscriminatamente o renderla produttiva. La terza via è la meno praticata perché bisogna fare delle scelte per il bene comune, poco gradite a chi insegue il consenso immediato con logiche di marketing a breve termine. Ecco perché non si previene e non si programma. Esistono due detti: “prevenire è meglio che curare” e “se vuoi davvero aiutare chi ha fame non limitarti a dargli un pesce ma insegnagli a pescare”. Potrei dire che questo è il ruolo della Psicologia, la sua funzione per i singoli e la società. Sono sempre di più quelli che l’hanno compreso e cercano lo Psicologo nel privato, e questo è un bene ma aumenta la già pesante discriminazione tra chi può e chi non può permetterselo. L’assenza in Italia di un “uso sociale” della Psicologia crea ulteriori sperequazioni e soprattutto impedisce programmi di comunità. Che prevengono il degenerare delle situazioni. Per le nostre Istituzioni se non arrivi a strutturare una grave malattia mentale o a tentare il suicidio stai ancora bene. Questo approccio moltiplica i costi per le persone e per la società.

 

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