(foto Ansa)

Un'alternativa al lockdown: usare i test rapidi per salvare salute ed economia

Daniele Terlizzese*

Così come non sbarriamo le autostrade per evitare che si superino i limiti di velocità, per evitare di continuare a chiudere tutto i test antigenici sono una soluzione valida

Per evitare che alcuni automobilisti eccedano il limite di velocità nessuno ha mai proposto di chiudere le autostrade; piuttosto, ci si è attrezzati per individuare e multare i singoli trasgressori. Per evitare che alcuni infetti diffondano il contagio, abbiamo invece sinora scelto di chiudere in casa tutta la popolazione (sia pure a fasi alterne e con eccezioni). Lo abbiamo fatto per un buon motivo: non disponevamo di un metodo pratico e veloce per individuare gli infetti. Forse però questo ostacolo sta oggi diventando aggirabile; in tal caso un’alternativa al lockdown (parziale o generalizzato), nettamente più efficiente, sarebbe perseguibile. Per capire meglio di che si tratta, è utile avere in mente alcuni ordini di grandezza.

 

Abbiamo ormai imparato che il parametro chiave per la dinamica della pandemia è il numero medio di contagi secondari generati da ciascun infetto – nel gergo degli epidemiologi, l’indice Rt: se è sopra a 1 l’epidemia esplode, se inferiore a 1 si smorza nel tempo. Il lockdown è efficace proprio perché riduce questo indice: se impediamo alle persone di circolare e di avvicinarsi ad altri, nella vita sociale e lavorativa, ovviamente abbattiamo le occasioni di contagio e per questo riduciamo Rt. Se partiamo da un Rt di 2, e vogliamo portarlo nettamente sotto 1 – diciamo a 0,8 – dobbiamo garantire che ogni giorno siano in isolamento il 60 per cento degli infetti: restandone in circolazione il 40 per cento, solo loro determinerebbero contagi secondari e quindi l’Rt scenderebbe al 40 per cento del suo valore iniziale, appunto 0,8. Un lockdown che impedisca la circolazione al 60 per cento dell’intera popolazione ottiene il risultato desiderato, poiché evita che il 60 per cento degli infetti diffonda il contagio, ma restringe la mobilità anche al 60 per cento dei non infetti. Per una popolazione di 60 milioni, vuol dire 36 milioni di persone.

 

Supponendo che la prevalenza degli infetti nella popolazione sia attualmente del 2 per cento – cioè 1,2 milioni di infetti in circolazione – per far scendere Rt a 0,8 attraverso il lockdown dobbiamo limitare fortemente le capacità di lavorare e muoversi di 36 milioni di persone, affinché a 720 mila tra loro (il 60 per cento di 1,2 milioni) sia impedito di contagiare. L’alternativa, almeno in teoria, è ovvia: invece di misure di isolamento generalizzato, rivolte a tutta la popolazione, adottiamo misure selettive, che isolino solo coloro che sono portatori del contagio. Se fossimo in grado di indirizzare le misure restrittive direttamente agli infetti sarebbe sufficiente, per ottenere lo stesso abbattimento di Rt, mettere in isolamento 720 mila infetti e lasciar lavorare e muoversi i circa 35 milioni restanti. Fin dall’inizio della pandemia alcuni, e tra questi il premio Nobel per l’economia Paul Romer, sostengono che questa sia l’unica strada razionale e sostenibile nel tempo. Finora però la teoria ha incontrato un formidabile ostacolo pratico. Per garantire che ogni giorno il 60 per cento degli infetti sia individuato è necessario testare ogni giorno poco più del 5 per cento della popolazione (questo numero dipende dalla durata attesa dell’infezione –ipotizzata di 14 giorni – e dalla probabilità che il test generi un “falso negativo” (segnali come negativo una persona che invece è infetta) – ipotizzata del 20 per cento; il calcolo, che pure è semplice, richiederebbe per essere spiegato un maggiore spazio di quello a disposizione). Testare ogni giorno poco più di 3 milioni di persone è ovviamente un’impresa organizzativamente ardua e costosa; diventa impossibile se ciascun test richiede dalle 6 alle 12 ore, personale specializzato per somministrarlo e per processarlo, oltre a reagenti e macchinari dedicati, costosi e disponibili in quantità limitata. E questa è la situazione con i test molecolari (Pcr), i tamponi di cui ogni giorno sentiamo parlare.

 

Sono però ormai disponibili dei test diversi, i test antigenici, meno affidabili in termini di capacità diagnostica ma molto più rapidi, semplici da somministrare e processare, molto meno costosi; alcuni possono essere effettuati autonomamente a casa e si prestano a essere ripetuti ad alta frequenza. L’errore nel segnalare come positiva una persona non infetta (i “falsi positivi”) non è molto superiore a quello dei test molecolari, mentre può essere decisamente maggiore l’errore relativo ai “falsi negativi”; questa differenza, però, si manifesta principalmente quando la carica virale è bassa, cioè in situazioni in cui il contagio è probabilmente meno frequente, e quindi in cui l’errore è meno dannoso ai fini del controllo dell’epidemia. Inoltre, per ottenere lo stesso abbattimento dell’indice Rt un maggiore errore sui “falsi negativi” può essere compensato aumentando il numero di persone testate giornalmente. Il settimanale Economist riporta che la Germania sta per il momento somministrando 10 milioni di test antigenici al mese, a un costo di 10 euro a test; gli Stati Uniti ne hanno ordinati 150 milioni, l’Oms ne ha ordinati 120 milioni per i paesi in via di sviluppo, a un costo massimo di 4 euro a test (costo che, secondo molti esperti, potrà scendere a meno di 1 euro). La Slovacchia nell’ultimo weekend di ottobre ha testato in questo modo 3,6 milioni di persone, il 66 per cento della sua popolazione, e ha in programma di ripetere lo screening a breve. La città di Liverpool sta testando l’intera popolazione, con una combinazione di test antigenici e Pcr. Un test di massa della popolazione studentesca del Regno Unito, effettuato con i test antigenici, è in programma per i primi di dicembre. Un recente lavoro di quattro economisti (Atkeson, Droste, Mina e Stock) ha simulato diverse strategie di test, basate sull’utilizzo congiunto di test antigenici per l’intera popolazione, a varie frequenze, e test molecolari per conferma, effettuati su una frazione più o meno grande dei casi trovati positivi dal test antigenico; le simulazioni assumono che l’aderenza alle indicazioni di isolamento indirizzate a coloro che risultano positivi sia maggiore quando è maggiore l’affidabilità del test – per esempio perché il test antigenico è confermato dal test molecolare.

 

Rispetto a una simulazione che riproduce quanto effettivamente osservato negli Stati Uniti, su un arco di 6 mesi, il beneficio di queste varie strategie, in termini di maggiore prodotto e maggiori entrate fiscali, sarebbe stato tra le 4 e le 15 volte superiore al loro costo; il numero di vite salvate sarebbe stato tra 16 mila e 140 mila. Due miei colleghi (Piguillem e Shi) hanno condotto un’analisi simile, calibrando le simulazioni alla situazione italiana. In alternativa ai vari lockdown hanno ipotizzato che, nei 6 mesi da marzo a settembre, ciascuno fosse stato sottoposto al solo test rapido una volta alla settimana e che fossero stati messi in isolamento tutti i positivi: il costo dei test effettuati con questa strategia sarebbe stato di circa 6 miliardi, e il pil sarebbe stato superiore a quello osservato di circa 42 miliardi, con un rapporto benefici costi di circa 7; il numero di vite salvate sarebbe stato di circa 15 mila. Grazie ai rapidi progressi ottenuti nella capacità diagnostica un’alternativa al lockdown sta dunque cominciando a profilarsi: testare a frequenza sufficientemente elevata campioni casuali della popolazione, utilizzando test rapidi eventualmente da confermare con il test molecolare, sembra la strada più promettente per approntare una strategia razionale di controllo del contagio, che minimizzi il costo economico delle restrizioni imposte alla società. Mettere in campo questa strategia non implica che vadano ridotti gli sforzi per rafforzare la struttura di sorveglianza territoriale del Sistema sanitario nazionale: intercettare tempestivamente, a partire dalle segnalazioni dei medici di base, gli infetti sintomatici, recuperare una quota rilevante dei loro contatti, identificandone per isolarli quelli positivi, resta una priorità. Ma anche nella migliore delle ipotesi, alla sorveglianza territoriale sfuggirà una quota non trascurabile degli infetti asintomatici, poiché essa è attivata dalle segnalazioni dei medici di base, che naturalmente riguardano persone con sintomi, e spesso non riesce, per limiti di tempo, risorse e per l’interconnessione diffusa che caratterizza la società moderna, a risalire all’intera catena del contagio potenziale; specialmente quando, come nella situazione attuale, i contagi osservati sono diverse decine di migliaia ogni giorno. Quindi, lo screening di massa con test rapidi e a frequenza elevata rappresenta un complemento, piuttosto che un sostituto, della sorveglianza territoriale.

 

Le buone notizie sul fronte del vaccino non rendono questa strategia meno necessaria. Anche assumendo che esse siano confermate, produrre e distribuire le dosi necessarie all’intera popolazione mondiale richiederà tempi lunghi. Tutto questo suggerisce che continueremo a dover combattere la diffusione del contagio per molto tempo, probabilmente per più di un anno, e avere una strategia di contenimento più efficiente, e perciò più sostenibile per lunghi periodi, aumenterebbe enormemente le speranze di farlo con successo.

 

*Einaudi Institute for Economics and Finance

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