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Roma Capoccia

I libri d'ore tornano a parlare, ai Lincei: miniature e alfabeti

Fabiana Giacomotti

La mostra "Il tempo della devozione", visitabile fino al 15 febbraio, esplora l'importanza dei manoscritti devozionali privati, che per secoli sono stati uno dei pochi accessi alla lettura per le donne laiche. La storia dell’alfabetizzazione femminile e l’impatto della stampa nell’Italia medievale e rinascimentale

Nei secoli in cui possedere un testo miniato era testimonianza del rilievo sociale del proprietario, i libri d’ore, manoscritti devozionali privati, illustrati con sfarzo iconografico spesso secondo il gusto e le insegne personali, commissionati in occasione di nozze o genetliaci speciali, hanno rappresentato il primo, spesso unico, accesso alla lettura per le donne laiche (chi voleva risparmiarsi matrimoni sgraditi e dedicarsi agli studi, faceva carriera in convento o vi tornava come terziaria dopo la vedovanza, lasciando dietro di sé lettere entusiaste; il caso di Marianna de Leyva, la Monaca di Monza, non era la regola). Ed è per questo che, passando da una teca all’altra della magnifica mostra che la Biblioteca dell’Accademia dei Lincei apre ufficialmente domani, “Il tempo della devozione” a cura di Francesca Manzari, ordinario di storia dell’arte medievale presso la Sapienza, Lucia Tongiorgi Tomasi, Ebe Antetomaso e del direttore dell’istituzione Marco Guardo e che mostra per la prima volta insieme e con un importante inedito i libri d’ore italiani fra Medio Evo e primo Rinascimento, si resta colpiti non solo e non tanto dalle pur magnifiche opere pittoriche, quelle tempere e quelle foglie d’oro dipinte e stese con maestria nelle più famose botteghe del periodo, ma dai rimandi alla scolarizzazione femminile: gli abbecedari a fronte del testo, la miniatura di sant’Anna che insegna a leggere alla Vergine e i tanti, piccoli segni di una evoluzione difficile e incantevole al tempo stesso. Dunque, oltre al il Libro d’ore di Francesco da Barberino di collezione privata milanese, miniato a Padova e databile fra il 1304 e il 1309 e al celebre Offiziolo Visconti, commissionato nel 1388 a Giovannino de’ Grassi da Gian Galeazzo Visconti che in data ignota venne smembrato in due tomi e che, per vie matrimoniali e dinastiche, si può equiparare e affiancare al celebre libro d’ore del duca di Berry che da seicento anni fornisce spunti decorativi a chiunque, perfino a Walt Disney (“la bella addormentata”, presente?), questa esposizione racconta della nostra storia più di quanto si possa supporre. Lo fa anche attraverso una scelta di esemplari a stampa e dipinti, selezionati dalla Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana e da altre raccolte pubbliche e private in Italia e in Vaticano, che ci svela come la straordinaria innovazione di Gutenberg, paragonabile solo alla scoperta dell’elettricità e, oggi, all’applicazione dell’intelligenza artificiale, abbia in realtà incontrato molte resistenze o, come accaduto per la fotografia alla metà dell’Ottocento, non sia stata considerata abbastanza prestigiosa. Nessuno dei cinquanta libri esposti, peraltro con molto garbo e sapienza storica su cuscini di velluto che rimandano al loro uso, rivela meno di quanto prometta già a una prima occhiata anche in relazione al gusto decorativo, significativamente diverso fra il nord e il sud della penisola, alle mode (all’epoca, molto differenti fra stato e stato), allo stile compositivo. Resterà aperta fino al 15 febbraio prossimo.

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