Annibale Carracci, La bottega del macellaio, 1585 c., olio su tela, cm. 185×266, Christ Church, Oxford  

Roma Capoccia - la tradizione abbandonata

La "magia" del garofolato

Giovanni Battistuzzi

Il “gentil e farabutto saper vivere” dei cuochi a Roma che danno nuova vita al manzo

Il principe di Sulmona Paolo Borghese era noto per essere una buona forchetta. Frequentava le migliori cucine di Roma, del Vaticano e di Parigi e con tutti i cuochi si intratteneva, appuntava ricette e consigli e poi o li replicava o li faceva replicare. Era soprattutto curioso, di una curiosità vorace, che lo conduceva, a seconda della voglia, nei migliori ristoranti di tutta Italia e nelle peggiori bettole, senza che per lui ci fosse alcuna differenza. Sapeva apprezzare il cibo raffinato e quello popolano allo stesso modo. E se non aveva fame se la faceva venire camminando per ore. 

Il principe di Sulmona Paolo Borghese la sua curiosità l’ha catalogata e messa inchiostro su carta in un libro “Ricette per cucina raccolte dal principe don Paolo Borghese” che per quello che ne sappiamo è stato il primo libro di cucina d’Italia. Anticipò pure Pellegrino Artusi. Di qualche anno, 

E ogni tanto si intratteneva con la penna in mano anche scrivere di “passioni di cucina et altre appetiti” per Il Fanfulla su “lunga insistenza” dell’amico Luigi Federzoni, scrittore e politico oltre a presidente del Senato del Regno tra il 1929 e il 1939. 

Fu sulle colonne del Fanfulla che il principe di Sulmona Paolo Borghese professò il suo amore per un piatto “romanissimo et espressione profonda del genio romano in cucina”: il garofolato, o meglio “l’umido garofolato”. 

Il garofolato non è altro che un sistema di cottura della carne in umido che prevede l’utilizzo di chiodi di garofano, vino rosso, un po’ di concentrato di pomodoro, cipolla e sedano (Paolo Borghese non menzionava la carota) e che “aveva il pregio di donar appetito all’omo e grazia et nova vita alle carni”. Perché nell’“umido garofolato” ci andava mica la carne buona, ma quella “guasta o in fase di guastamento”, ossia quella che ora, molto probabilmente, butteremo via. “Inno al gentil e farabutto saper vivere delli cuochi, avvezzi alla magia della cucina”. 

Qui ci si raccomanda di non dirlo oggi nei ristoranti dove il garofolato è tornato dopo anni di benessere e quindi di disuso di questa pietanza. Potrebbero non gradire la storia e, soprattutto, non ritenerla un complimento.

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