ROMA CAPOCCIA

Suburraeterna, ovvero la glamourizzazione del crimine romano

C'è qualcosa di fasullo nella resa affascinante dei malacarne della fiction Netflix: ecco cosa leggere per credere

Andrea Venanzoni

Roma non è la trama di un poliziottesco, non ha più quella manichea separazione tra una silente maggioranza di probi cittadini che assistono inermi su un bus all’ennesimo atto di violenza e una porzione di criminali selvaggi, sadici, disposti a tutto e dai volti caratterizzati da una deriva lombrosiana, non è più la città degli inseguimenti rocamboleschi e accelerati alla Stelvio Massi o alla Umberto Lenzi, non più isola infranta dai modi spicci di Maurizio Merli o dalla strascicata, popolana e mefistofelica ingordigia del Tomas Milian criminale. Roma ormai è Las Vegas delle bande di strada e di un crimine che per quanto organizzato rimane quello primordiale delle “batterie” di rapinatori, divisi in una geopolitica romanesca di rioni e quartieri, con bulli dal coltello facile trasformati geneticamente in epigoni sofoclei di un perenne romanzo.

Percorrendo il lungomare di Ostia, incuneato tra casematte di cemento simili ai bunker tedeschi in Normandia, svetta l’effigie annerita dei cubicoli che vennero bruciati per le riprese di “Suburra”, nelle scene in cui il delinquente che tiranneggia il Lido romano, Numero 8, sbruciacchia nel falò sabbatico di una iniziazione anomica lo stabilimento di un tale riottoso nel voler vendere il suo appezzamento concessionato. Il tempo è rimasto fermo a quell’ologramma di una realtà altra che consiste però esattamente nella resa di ciò che la quotidianità è stata fatta divenire.  E giù, al fondo del lungomare, nel feudo degli Spada, dove le case occupate e lo spaccio di droga edificano alveari di delinquenza, ci sono ancora quei garage sotterranei, rugginosi, lerci, coi tubolari scrostati e le luci acquitrinose che si vedono comparire sempre in “Suburra”.

In questi giorni, Roma tutta è di nuovo alle prese con un nuovo capitolo di questa saga che da anni la scuoia e le ricuce addosso il peso insostenibile della patinata forma di una criminalità mostrata solo nel suo aspetto televisivo. E così dopo il film, dopo la serie, ecco anche “Suburraeterna”, seguendo la medesima direttrice che fu già di “Romanzo criminale”, romanzo, film, serie televisiva. In un bell’articolo di Stefano Ciavatta apparso su Art Tribune, vengono messi in fila, per fini didascalici, perché inanellarli tutti sarebbe impossibile, i libri, i film e le serie che in questi ultimi anni, grosso modo a partire dagli anni duemila, hanno intinto la penna nel sangue versato per le strade di Roma, contribuendo a costruire un autentico immaginario criminale della Capitale. E in effetti, volendo, l’elencazione proposta da Ciavatta potrebbe essere integrata con decine di altri titoli, che hanno da un lato modellato ed elevato la Banda della Magliana ad autentico genere letterario, da “Mai ci fu pietà” di Angela Camuso al celebre “Ragazzi di malavita” di Giovanni Bianconi, con una commistione di ricostruzione cronachistico-giudiziaria e tono romanzesco, e dall’altro lato hanno proposto una dimensione capitolina sospesa tra delitti inquietanti e malaffare, da “I 100 delitti di Roma” di Flaminia Savelli al quasi omonimo “Roma in 100 delitti” di Valerio Marra, passando per i volumi di Fabrizio Peronaci “Il collezionista di ossa della Magliana e altri delitti” che investiga e ricostruisce una serie di “fattacci” occorsi tra il 2000 e il 2010 e “Morte di un detective a Ostiense e altri delitti”, che invece copre l’arco temporale tra il 1990 e il 2000. Senza appunto dimenticare l’autentico salto di qualità rappresentato da Mafia Capitale, che ha fatto virare da “Romanzo Criminale” a “Suburra” e che si è portato dietro decine di altri volumi, da “I Re di Roma” di Lirio Abbate e Marco Lillo a “Roma Capitale malamata” di Vittorio Emiliani a “Nelmondodimezzo” di Massimo Lugli, prolifico investigatore da sempre del lato nero di Roma.

Roma, Roma oscura, Roma putrida, non ha più quell’aura di sangue e asfalto e falò di sfasciacarrozze abusivo dove piccole bande si radunavano, nei poliziotteschi, ma è diventata una zona illuminata da raggi neon, e il crimine, il suo crimine, è stato glamourizzato, reso sensuale e molto più affascinante di quanto davvero non sia stato e non sia ancora oggi.

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