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Roma Capoccia

Bankitalia analizza l'economia e la società di Roma: in coma

Andrea Venanzoni

Inerte, statica e polverosa. La capitale con sempre meno investimenti, meno innovazione e più turismo povero

Impietoso e chirurgico come solo i rapporti scientifici sanno essere, il report “L’economia di Roma negli anni duemila” pubblicato da Banca d’Italia a fine settembre restituisce un quadro disperante della città. Lo studio si concentra su un arco temporale assai esteso, dall’inizio degli anni duemila alla vigilia della crisi pandemica. E sarà senza dubbio interessante leggerne poi il seguito, perché non c’è dubbio alcuno che i dispositivi di contrasto all’infuriare del covid-19 abbiano inciso così nel profondo del tessuto sociale, produttivo, economico, e nei comportamenti stessi dei cittadini, degli utenti e dei consumatori, da lasciar presagire scenari foschi. Politicamente, l’analisi è assai interessante e parimenti disperante perché fotografa l’involuzione di una città che nel periodo oggetto di analisi è stata governata da giunte di qualunque colore. Sinistra. Destra. Grillini. Persino il breve commissariamento amministrativo guidato dal prefetto Tronca e che fece seguito alla rovinosa caduta di Ignazio Marino, sfiduciato a seguito delle dimissioni in massa dei consiglieri. Un segnale negativo per i cittadini romani e che spiega i livelli record di astensione nelle tornate elettorali amministrative. Roma è città di paradossi. Questo ogni romano lo sa bene, lo vive e subisce ogni giorno nella sua odissea quotidiana. Ma ora Banca d’Italia ne illumina alcuni tratti salienti.

Nonostante sia città intrinsecamente legata al settore pubblico, sia per la presenza di istituzioni e amministrazioni, sia per ospitare il maggior numero di società partecipate di rilevanza nazionale, in città si registra una contrazione sempre più evidente degli investimenti pubblici e una sempre più scarsa incisività nell’indotto e come fattore di sviluppo del pubblico. E se Roma, come tutte le altre Capitali, ha dovuto fare i conti con la epocale crisi finanziaria originata dal tracollo della Lehman Brothers e poi traslatasi in seno ai debiti sovrani, è pur vero che la Capitale sembra aver reagito assai peggio rispetto le sue omologhe. Una città con un sempre minor fascino attrattivo per start-up e aziende, interessata anzi da un fenomeno pernicioso e pericoloso di desertificazione di società private che, fatti armi e bagagli, si sono spesso trasferite a Milano. Altro elemento assai preoccupante è la ricomposizione morfologica dell’economia capitolina, con una espansione di settori a bassa intensità di conoscenza, tra cui il turismo: occasione questa per ragionare seriamente su, e sfatare possibilmente, certi mitemi del turismo come “petrolio del Paese”. Settore importante, senza dubbio, ma che apporta poco in termini di sviluppo e miglioramento della economia complessiva e che soprattutto, laddove lasciato divenire maggioritario, implica esiziali momenti di over-education e over-qualification, ovvero di lavoratori molto spesso assai qualificati, per titoli di studio e pregresse esperienze, impiegati in mansioni manuali o materiali. Nei fatti, la certificazione di una attitudine alla costruzione di una società museale, inerte, statica, polverosa e ossificata. Una necropoli scintillante di una oscura bellezza, ma pur sempre un cimitero dentro cui può sì registrarsi un aumento della occupazione ma soltanto nei settori, come si diceva sopra, a più bassa conoscenza richiesta.

Polarizzazione del mercato del lavoro, servizi pubblici scadenti e percepiti per tali, sistema di trasporto pubblico deficitario che complica, a raggiera, altri mercati economici, come quello immobiliare, rendono il vivido quadro di una Capitale sempre meno Capitale. Ed è molto significativo rilevare che gli analisti di Banca d’Italia osservino come sia certo possibile invertire il trend ma a patto di rinnovare, forse meglio a dirsi rivoluzionare, il settore pubblico dei servizi locali, la macrostruttura pubblica capitolina, razionalizzare il sistema di trasporto e rendersi finalmente attrattivi per innovazione, sviluppo, ricerca e aziende attive in questi settori. Una sfida epocale per la politica che se vuole riguadagnare credibilità deve mettere mano all’ordinamento giuridico della città e ridefinire i lineamenti essenziali di una struttura amministrativa obsoleta e inefficiente.

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