Foto di Massimo Percossi, via Ansa 

Roma Capoccia

Il sogno romano di Expo 2030, non succede ma se succede...

Gianluca Roselli

Si prevede che poterebbe 50 miliardi in dieci anni e 300.000 posti di lavoro. Ma c'è la concorrenza (forte) di Odessa, anche se la guerra è una variante importante. La decisione finale è prevista per il prossimo novembre

I grandi sprechi sono un po’ come il maiale, non si butta via niente. Così tornerà buona anche la Vela di Calatrava per il progetto Expo 2030, sempre che Roma la spunti e riesca ad aggiudicarsi l’esposizione universale prevista fra 7 anni. Sì perché l’area scelta per ospitare il progetto è appunto Tor Vergata, dove fu costruita la Vela per i mondiali di nuoto del 2009, progetto poi abortito, ma la Vela è sempre là, in bella vista dall’autostrada, a ricordarci quanto male possa essere amministrata una città. La second life della Vela – per cui a un certo punto si pensò l’abbattimento – potrebbe essere Expo 2030.

 

Che a gennaio vedrà un momento decisivo: lunedì 23 è previsto l’arrivo a Roma di Dimitri Kerkentzes, segretario generale del Bureau international des expositions, dalla cui visita s’inizierà a capire qualcosa in più sulle reali possibilità della capitale, che in questa partita se la deve vedere con la città coreana (del Sud) Busan, Riyadh (Arabia Saudita) e Odessa (Ucraina). Un altro importante esame sarà poi in aprile. E se le prime due sono avversarie ostiche ma alla portata, c’è già un fronte internazionale che spinge per l’assegnazione a Odessa come segnale di ripresa dell’Ucraina. Unica variante (non da poco) è però la guerra: difficile che venga scelta per l’Expo una città ancora coinvolta in un conflitto. La decisione finale arriverà tra dieci mesi, nel novembre 2023, con 170 Paesi chiamati al voto (segreto): se per allora dovesse scoppiare la pace o almeno una lunga tregua, allora Odessa avrebbe buone chance, in caso contrario la scelta cadrà su una delle altre tre. 

 

A contare saranno poi i progetti e quello italiano, messo a punto dallo studio Carlo Ratti, pare non sia affatto dispiaciuto al Bureau. Il sito, a Tor Vergata, sarà diviso in tre aree principali: la città, il boulevard (dove si svilupperanno i padiglioni) e il parco, in una sorta di transizione tra il mondo artificiale e quello naturale. Verrà realizzato, e resterà, il più grande parco solare urbano al mondo: su una superficie di 150 mila mq saranno piantati centinaia di “alberi energetici” per una capacità produttiva di un max di 36 megawatt con pannelli che si aprono e chiudono durante il giorno.

 

Una sorta di Mose dell’energia pulita. Il tema scelto dal comitato promotore guidato da Giampiero Massolo, e presentato a Parigi in 618 pagine, è “Persone e Territori: rigenerazione, inclusione e innovazione”, ovvero ripensare in maniera green e a impatto zero il modo di vivere nel tessuto urbano, visto che nel 2050 i due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle metropoli. Se si abitassero così come oggi, il modello esploderebbe, per questo la grande città va totalmente ripensata secondo un modello totalmente sostenibile.

 

“Come saranno le città del futuro è la sfida centrale del nostro tempo. Il progetto che abbiamo presentato è bello, competitivo e molto ambizioso. Ora siamo in campagna elettorale, dobbiamo convincere gli altri paesi, ma abbiamo buone possibilità. Ce la giochiamo”, afferma l’ex sindaca Virginia Raggi, presidente della commissione speciale Expo 2030 del Campidoglio. Si prevede che l’esposizione valga 50,6 miliardi di euro in dieci anni (3-4 punti di pil), comporti la nascita di oltre 11 mila imprese e 300 mila posti di lavoro

 

Così se Expo 2015 è servito a portare Milano (città fino ad allora non proprio all’apice del turismo internazionale) all’attenzione del mondo, Expo 2030 avrebbe la funzione di risollevare la capitale rendendola più appetibile, attrattiva, ecologica e smart, proiettandola nel futuro. Quasi un ossimoro per una città sepolta da anni da cumuli d’immondizia, col traffico che la strangola e un trasporto pubblico complicato.

 

L’importante, però, è mostrare di crederci perché, come spiegano dalla Fondazione Expo, “tra i criteri di scelta c’è il coinvolgimento dei cittadini e il sostegno della società civile”. Secondo un sondaggio di Ipsos, 7 italiani su 10 sono felici per la candidatura, dove la notizia semmai è al contrario: 3 italiani su 10 non fanno il tifo per la loro capitale. Che non ha mai ospitato un’esposizione (doveva nel 1942 ma sappiamo com’è finita): e forse, al di là di tutto, è una lacuna che va colmata. 

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