(foto Ansa)

roma capoccia

Dopo il cinghiale, a Roma è l'èra del gabbiano bianco

Ginevra Leganza

In quest'epoca ambientalista, è il mostro alato il vero patrono della Capitale d'Italia: radical chic (e sporco)

Non è l’èra del cinghiale (che pure a Roma è di casa), ma anche lui è piuttosto bianco.  È l’èra del gabbiano bianco e radical chic. Di questa nuova Empusa: di questo mostro mitologico che becca i viaggiatori. Brigante di maritozzi, coppette e coni.  Il gabbiano è nel costume da anni, di che stupirsi. Potrai mica andare in via dei Chiavari per un supplì all’Antico Forno Roscioli senza mettere in conto un Hitchcock all’amatriciana. Un mezzo dinosauro che ti si impiglia fra i capelli. Che ti becca e strappa di mano la polpetta di riso a pochi centimetri dai denti… Il gabbiano non è storia, non ancora, ma è già costume. È elemento del paesaggio quasi come il sampietrino. Ma è soprattutto segno dei tempi se l’incanto del turista fa il paio con l’indigena: “T’ha quasi mozzato l’indice, vabbè, è che oggi non ci stanno quelli col megafono”.

 

Quelli col megafono ovvero i famosi “dissuasori non violenti” che sui lungoteveri o per i Fori se ne vanno in giro in tuta. Perché per evitare che la bestia sgranocchi riso alle nocche bisogna dissuaderla. Non ucciderla, sterilizzarla o maledirla come facciamo noi che concepiamo una vita (senza gabbiani) oltre Roma centro. No, bisogna pregarla, intuirne l’umore come fosse una sfinge. Va fatta insomma opera di moral suasion talché con indulgenza l’Empusa si allontani e torni animal grazioso e benigno in visita per l’aere perso. Un po’ com’era negli anni Settanta per Fulco Pratesi, il “radical chic ambientalista” che portò le gabbianelle a Roma e che non fa più la doccia per non sprecare acqua.

Ecco, oggi Roma è come il fondatore del Wwf. Giammai spazzerebbe via quest’elemento del paesaggio urbano, nuovo custode dello spirito del tempo. Perché il gabbiano è molto più che il marziano piombato a Villa Borghese cui tutta Roma s’abitua dopo iniziale stupore. Certo, s’è abituata a lui come come ai ratti del Pantheon e al cinghiale di Piazza Verbano. Ma dopo anni di lamentele il gabbiano è soprattutto l’intoccabile custode di un’era capitolina. È il patrono della città che non può essere soppresso ma solo dissuaso. L’èra del gabbiano bianco è l’èra della zoolatria zetatiellina. L’èra di una nuova vacca sacra in questa nostra nuova Delhi, coi mostri alati specie protetta e ultra chic. Immensamente più protetta e più chic di un indice o di un pollice opponibile. E tutta Roma, oggi, è una Fulco Pratesi che si lava poco o niente ma si ritrova nel culto del sacro gabbiano.

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