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Come disvelare l'urbanistica alchemica del quartiere Coppedè

Andrea Venanzoni

L’aura esoterica del quartiere è talmente evidente da aver esercitato una radicale influenza sull’immaginario artistico più oscuro, da Gabriele D'Annunzio a Dario Argento

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi. Dalla poetica di David Foster Wallace alla crepuscolare bellezza di uno dei più evocativi e peculiari quartieri di Roma. Un gioiello di architettura che sembra riecheggiare la dimensione obliqua ed esoterica delle dimore filosofali care al misterioso Fulcanelli, mago, alchimista e architetto divenuto famoso grazie soprattutto a certa sensibilità cinematografica. Ubicato nel cuore del quartiere Trieste e al limitare dei Parioli, nel quadrante incastonato tra Via Tagliamento, Via Arno e via Clitunno, il Coppedè mutua il nome dall’architetto che ne fu progettista e primo realizzatore, Gino Coppedè. Un progetto che si stende per 45.000 metri quadri nel cuore della Roma di Nathan, iniziato tra il 1915 e il 1916 e che venne terminato nel 1927 da Paolo Emilio Andrè, dopo la morte di Coppedè.

    

La vita e la tragica scomparsa di Coppedè rappresentano e riproducono idealmente l’inquietante aura fantasmatica che aleggia su un agglomerato urbanistico di stordente bellezza, in cui simbologia occulta, messaggi incastonati in pareti e nella stessa edificazione dei palazzetti, delle volte e delle arcate, nelle fontane cariche di statue, si fondono tra loro a determinare una esistenza autonoma della pietra.

 

Secondo alcune fonti, l’architetto e artista di origini fiorentine sarebbe morto di malattia, per una gangrena polmonare, ma secondo altri si sarebbe suicidato. Profondamente imbevuto di misticismo e di credenze occulte, con ogni probabilità aderente ai rami più profondamente iniziatici della massoneria, Coppedè modella una area che sembra a tutti gli effetti riprodurre un tempio pagano. Coppie di colonne che echeggiano la forma magica del tempio di Salomone, decorazioni alchemiche e medievali, lampadari in ferro battuto che si stagliano contro il cielo rosso del tramonto. E palazzi di ogni fattezza e dai nomi simbolicamente potenti. Con un ingresso misterico presidiato da un enorme arco che congiunge tra loro due palazzi, quasi a indicare la via di passaggio verso un mondo-altro. Palazzo del Ragno. Palazzi degli Ambasciatori. Villini delle Fate.

 

I simboli esoterici sono tantissimi. L’albero della vita, caro alla Cabala e padre delle sephiroth. Una meridiana inscritta e dipinta al centro. La lupa romulea. Il leone di San Marco. Orologi con motivi zodiacali fusi con iconografia di santi cristiani e puttini. L’aura esoterica del quartiere è talmente evidente da aver esercitato una radicale influenza sull’immaginario artistico più oscuro. Dal “Cabiria” del 1914, sceneggiato da D’Annunzio, ai film di Dario Argento, che ha ripreso la fisionomia carica di magia del Coppedè in “Inferno” e ne “L’Uccello dalle piume di cristallo”, senza dimenticare “Omen – il Presagio” di Richard Donner, “La ragazza che sapeva troppo” di Mario Bava e “Il profumo della signora in nero” di Barilli, in una stordente ellissi di orrore, noir, thriller, perturbante ed esoterismo.

 

Le logge, gli androni, le finestre, le statue sembrano animarsi di una vita oscura e abissale, al calare del sole, nel riverberarsi cupo dell’illuminazione urbana; e deve essere stato questo aspetto a ispirare i registi del perturbante che si sono voluti confrontare con il magnetismo esoterico della zona. In particolare, l’utilizzo che Dario Argento ha fatto delle ambientazioni del Coppedè riproduce le atmosfere ctonie del già richiamato Fulcanelli: figura di alchimista-architetto, la cui vera identità non è mai stata accertata e e che ha sempre parlato per bocca dei suoi allievi, autore di due preziosi volumi sul simbolismo alchemico delle grandi cattedrali gotiche e sulle dimore filosofali, costruite secondo i precetti dell’alchimia, Fulcanelli pubblicò la sua opera principale nel 1926.   Non appare peregrino ipotizzare che l’humus culturale in cui si muoveva Fulcanelli fosse profondamente affine a quello che animava, nei medesimi anni, Coppedè. Realizzare opere con la devozione e con l’amore di chi ambisce a fondare mondi, evocando e materializzando gli spettri che spesso ci portiamo dentro.

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