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Roma Capoccia

Veggente, poetico e politico. Pasolini in una mostra tripartita

Andrea Venanzoni

Nel centenario della nascita e fino al 12 marzo si celebra il corpo, custodia del poeta, inteso come soggetto portatore di diversi significati: al contempo cadavere straziato sull'Idroscalo e carne viva del famoso e contraddittorio intellettuale

La desolata terra di nessuno, fatta di corpo e poesia, conficcata nel cuore e nelle viscere di quell’autentico sciamano che fu Pier Paolo Pasolini, di cui ricorre il centenario della nascita, è al centro di una particolare mostra.
“Pier Paolo Pasolini. Tutto è santo” è in effetti mostra assai peculiare, a partire dalla sua strutturale tripartizione: collettivamente curata da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera, Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti, Bartolomeo Pietromarchi, Clara Tosi Pamphili, presenta un tema in apparenza comune, quello del corpo, ma si dipana fisicamente e concettualmente in tre distinte mostre.

 

“Il corpo poetico”, che si tiene fino al 26 febbraio al Palazzo delle esposizioni, “Il corpo veggente”, a Palazzo Barberini fino al 12 febbraio e infine “Il corpo politico”, al Maxxi fino al 12 marzo. 
Tre percorsi interconnessi nel nome della santità evocata da Chirone, personaggio della Medea pasoliniana e che echeggia quella fisionomia ancestrale, tribale e sciamanica di un corpo che sa parlare pur senza aver mai codificato un proprio linguaggio.
Fotografie, scatti e costumi di scena, la sensibilità pasoliniana per le grandi opere d’arte, sotto il comune denominatore dell’essenza corporea: corpo dello stesso Pasolini che nella sua incandescente e drammatica parabola esistenziale si è reso figura mitografica, con quel cadavere straziato nella fanghiglia dell’Idroscalo lidense, e corpo tonico, da pugile, da viveur, da santo laico povero e compassionevole, e corpo come figura teorica e generale, quel corpo cantato come Sade al pari del tempio dentro cui la natura chiede di essere riverita.

 

E c’è molto di Sade nelle parole, nei versi, nel contegno cupo, ironico e carico di amore di Pasolini, dal raggelante Salò, iconografia nichilista e riflessione sull’abisso nero del potere, alla analisi puntuta dell’essenza del corpo: come nelle forme gnostiche orientali, il corpo trafitto, martoriato, estatico, quelle derive notturne esistenziali di una lancinante solitudine che Testori echeggiò, in morte di Pasolini, nello straziante articolo “A rischio della vita”.
“Si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un “qualcuno”, scrisse Testori. 

 

Il corpo, nella mostra, è corpo in senso fisico, e corpo reso soggetto politico che attraversa epoche e morali e faide politiche e diversità; sensazioni dolorose di struggimento e di concupiscenza per oggetti del desiderio resi proibiti dal senso comune, cacce notturne, sublime forma malinconica di versi poetici e di fotogrammi cinematografici, fotografie notturne e crepuscolari del poeta.
Caleidoscopico, policromatico, nervoso, quel corpo si agita nel fondo di una dimensione altra, fraintesa, reso bandiera politica, male interpretato e strumentalizzato, corsaro, ma forse a meglio dirsi pirata davvero nella sua essenza di una libertà senza più paure e barriere.

 

Solitario, incamminato nella notte plumbea di ventri cittadini, al cospetto della fumigante solitudine dell’essere umano nel gelo del cosmo, Pasolini è stato a suo modo intellettuale assai poco italiano. Scomodo, in primo luogo per sé stesso, caotico, sublime, contraddittorio come solo l’essere umano sa essere.
E nella politicizzazione del corpo, Pasolini scorge e denuncia l’ingerenza, l’autentica invasione, delle logiche di consumo, l’anarchia ebbra del potere che a suo piacimento governa e sanziona penetrando sin nelle più piccole terminazioni nervose, non lasciando scampo e libero arbitrio all’individuo, è il Pasolini degli anni Settanta, quello della fine, la voce ctonia e funerea che ha intonato il de profundis della libertà del corpo, quella voce che si è infranta nella notte di Ostia e a cui oggi noi pensiamo ascoltando “Ostia (The Death of Pasolini)” dei Coil.

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