(foto LaPresse)

roma capoccia

Un murales rende giustizia a Sergio Leone: era romanista

Luca Frasacco

Sulla fede calcistica del regista si sono animate varie leggende: la Roma ha voluto chiudere definitivamente la faccenda

L’ultimo “stop” di Sergio Leone è quello alla polemica sulla sua squadra del cuore. Stavolta il regista ha abbandonato il western e costruito una commedia postuma, uno scherzo, durato più del previsto, ai suoi amici e a Carlo Verdone, prodotto dalla Roma, realizzato dallo street artist di fama mondiale Lucamaleonte e inscenato su un palazzo a Centocelle, dove alle 11:30 di giovedì scorso un telone ha scoperto il murale raffigurante il suo ritratto. Un faccione con un grande paio di occhiali e una folta barba, su una facciata metà gialla, metà rossa. L’abbellimento della palazzina in Via Tor De Schiavi è stato promosso dall’AS Roma e Ater Roma con il patrocinio della Regione Lazio, e non è il primo: sparsi per la città ci sono anche i volti di Gigi Proietti, Alberto Sordi e Lando Fiorini, a Colleferro quello di Willy Monteiro Duarte. Tutti romanisti veraci.

 

Un anno fa è stato il turno di Anna Magnani, rivendicata giallorossa dopo che un derby immortalato nel film Bellissima e qualche aneddoto avevano fatto dubitare della sua fede. La stessa sorte è toccata a Leone. La foto dell’opera fa il giro del web e i laziali inscenano lo sfottò con una prova schiacciante, un video di un’intervista dell’amico e collega Carlo Verdone, in cui racconta un aneddoto chiarissimo: “Un giorno, tornando da Ostia, mi fermai a casa sua, lo trovai un po’ assonnato mentre stava seguendo una partita della sua Lazio”. Si inizia a sfottere. C’è chi grida all’appropriazione indebita: “Ve siete accollati pure Leone”. Tra i lupi è panico. La fonte è attendibile, Verdone è oltretutto un romanista autorevole, il dubbio che stavolta la Roma abbia fatto il passo più lungo della gamba imperversa rapidamente e la società è costretta chiarire.

 

Viene ripescato un virgolettato del regista: “Sono romanista incallito”, e una frase di Ennio Morricone: “Andavamo allo stadio insieme”. Sergio Leone era tifoso facendo finta di non esserlo, amava poco quelli sperticati, preferiva gli sportivi, ma aveva la tessera e frequentava l’Olimpico. A confermare il suo romanismo ci pensano anche i parenti che sui social condividono un sms ricevuto e firmato Verdone: “Gli piaceva stuzzicare per divertimento alcuni amici super tifosi prendendoli in giro ed io ero probabilmente fra questi. Infatti mi sembrava strano che un laziale avesse invitato a casa sua Falcão”. Così di celeste resta soltanto il telo, tirato giù come un velo di finzione verso una polemica che può capire solo la Capitale, col suo umorismo e le rivalità tra le due sponde del Tevere.

Forse contaminato dal mondo del cinema anche nella vita, Sergio ogni tanto aveva voglia di indossare una maschera, per punzecchiare. Alla fine della fede calcistica si dice che scorra nel sangue, ci si può giocare, tanto le tracce sono nel Dna come la più precisa prova scientifica. Lo spettacolo è l’ultimo scherzo di Leone, con un finale che sorprende non solo ammiratori e tifosi ma persino i suoi amici: anche loro, in fondo, sono stati nient’altro che spettatori.

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