Adriano Palozzi (foto LaPresse)

La storia surreale di Palozzi, tra Kafka e Fantozzi

Salvatore Merlo

Chi è il mezzo consigliere regionale del Lazio. Decaduto ma anche no

E’ consigliere regionale ma anche no, ha diritto agli emolumenti ma non può votare, ha un ufficio ma non può entrare in Aula, è in carica ma se gli uscieri lo vedono avvicinarsi a uno scranno hanno l’ordine di placcarlo. Adriano Palozzi, eletto il 4 marzo 2018 con Forza Italia, inquisito, sospeso, e infine parzialmente riammesso nel parlamentino del Lazio, è il primo mezzo rappresentante del popolo della storia patria, la mezza misura della democrazia rappresentativa, una figura che potrebbe presto diventare materia di studio nelle università, nei corsi di Scienze politiche, o in quelli di Neuropsichiatria, insomma un caso di ricerca per il prof. Angelo Panebianco o un caso clinico per il dott. Paolo Crepet.

 

Indagato a giugno per corruzione, truffa e poi per associazione a delinquere nella vicenda dello stadio della Roma, Palozzi, che secondo i pm non è precisamente uno stinco di santo, viene messo agli arresti domiciliari. Nel frattempo scatta anche la famosa legge Severino, per cui viene pure sospeso dal suo ruolo di consigliere regionale. A quel punto Palozzi fa un primo ricorso al riesame, per essere scarcerato, ma il ricorso viene respinto. Fa un ricorso sul ricorso in Cassazione, ma nel frattempo la procura, passati novanta giorni, gli proroga gli arresti per altri novanta. E allora lui fa un secondo ricorso per la seconda carcerazione.

 

Finalmente, dopo più di due mesi di detenzione (la seconda detenzione), il riesame risponde al ricorso (il secondo ricorso), lo libera dai domiciliari, ma lo sospende dai pubblici uffici utilizzando una norma, l’art. 289 del codice di procedura, che però al terzo comma dice letteralmente che “la misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare”. A questo punto – e la vicenda ha già più di qualche tratto surreale – si pronuncia finalmente la Cassazione, ma sul primo ricorso, quello per il quale ormai Palozzi s’è fatto tutta la galera, dicendogli: non devi essere agli arresti domiciliari. Boom! Decade dunque l’interdizione della Severino, ma resta la sentenza di sospensione (quella però che “non si applica agli uffici elettivi”). E’ finita qua? Ma no. Il climax surreale è la stupefacente, e a modo suo salomonica, delibera della regione Lazio che prende atto della situazione: Palozzi può restare consigliere, dunque viene riammesso, ma non può partecipare alle attività dell’assemblea legislativa. Non fatichiamo a immaginare che questa storia sarebbe piaciuta ai Monty Pithon. Il parzialmente consigliere, dunque, mezza porzione a mezzo servizio, mezzo sospeso mezzo no, uno che c’è ma non c’è… in una paese di matti.

 

P.s.

Il presidente della regione, Nicola Zingaretti, è molto contento: ha una maggioranza traballante, la legge di Bilancio in bilico, e ha tolto un voto all’opposizione perché il mezzo consigliere Palozzi non vota (e non può nemmeno essere sostituito).

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.