La nuova fermata di San Giovanni della metro C a Roma (foto LaPresse)

Flânerie in metropolitana. La stazione di San Giovanni non sembra Roma

Michele Masneri

Dalla banchina ai reperti museali. Eccola qua la linea C, a portare le brave genti pignete

Si era andati quasi coi “popcorn” (cit.) per vedere, nel primo giorno d’esercizio piovoso, la nuova scintillante stazione della metro C San Giovanni magari infiltrata. Il martedì, ora di punta, si  scende  nella gloriosa stazione Vittorio Emanuele, set già perfetto per un remake de “I guerrieri della notte”, con cavi a vista, pozzanghere, muffe, e si parte insieme alle valorose classi dirigenti esquiline e afroitaliane in direzione Anagnina (cioè fuori). Con le stazioni cresce la suspense, quelle nuove son già tutte malmesse: nella recente Manzoni son cadute delle lettere (Manzon), e Museo della Liberazione è “Iberazione”.

 

Il convoglio rallenta e sussulta, come se non volesse proprio avvicinarsi a San Giovanni. Si ferma, riprende, si riferma. Che rifiuti la modernità? Sta fermo come un Frecciarossa (Metropolitana d’Italia). La voce gracchia e se ne va. Poi si riavvia, sferragliando, il convoglio strapazzato al calare di iPhone e crescere di Huawei. Ma ecco che arriva San Giovanni: anche la voce nell’altoparlante sembra rinfrancata! “Prossima fermata San Giovanni! Uscita lato destro! Corrispondenza con linea C!”, scandisce vigorosa la voce di donna (rimane il sogno, un giorno, di intervistare le voci degli annunci sui treni; quello su Italo che dice: ecco il treno ventinoooove-quarantaquattro, e poi prosegue in inglese cockney). Vabbè: proseguiamo, usciamo sulla banchina, e lì davvero cambia tutto: prima si pensa che l’abbiano fatta esattamente uguale alla vecchia, che bravi, che restauro conservativo. Poi si capisce che è quella vecchia, e che la parte nuova è dall’altra parte. Saliti sulla scala mobile, ecco che cambia tutto: dal bianco e rosso si passa a un décor da locale notturno elegante, da Bellablu: ecco pavimenti scuri, luci al neon artistiche al soffitto, e poi la parte museale.

 

Iniziano le teche e i reperti, dietro cristalli lucidissimi. Reperti di varie epoche, piatti – basta ironia! Non ne possiamo più di chi dice: “Ecco i reperti dei primi operai della linea C”, si sa che doveva aprire 7 anni fa, ma oggi non si è qui per fare i gufi. La linea C, linea driverless, eccola qua a portare le brave genti pignete (il tabellone indica Pantano, poco invitante magari come destinazione, e con tempi di attesa da stazione o aeroporto più che da metro: dieci minuti, diciannove minuti). A vegliare su questi piccoli musei capitolini, corpi scelti del Mibact: dei cristoni in uniforme con scritto: “Volontari vigilanza beni culturali”, specie di corazzieri della cultura. I turisti scattano foto. I romani e noi guardiamo più pragmaticamente soffitti e pavimenti. Per adesso, infiltrazioni nessuna: niente, non piove dentro, neanche una goccia d’acqua. E’ quello che conta, è quello che ci basta.

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