foto Luca Biada via Flickr

Ricognizione tra le necessità delle imprese romane che resistono

Gianluca De Rosa

Viaggio lungo ‘Tiburtina Valley’, che negli anni 90 aveva illuso Roma di avere un suo polo dell’innovazione

Roma. Fra le tante opere infrastrutturali citate dal ministro dello Sviluppo Carlo Calenda nella presentazione del suo piano industriale per il rilancio di Roma, c’è il famoso raddoppio della Tiburtina, un’opera decisa nel 2003, quando lì c’erano ancora tante delle grandi aziende che costituivano la ‘Tiburtina Valley’, che negli anni 90, grazie principalmente agli investimenti dell’aereospazio, aveva illuso Roma di avere un suo polo dell’innovazione. Oggi, ridimensionata la presenza di Leonardo e di Rheinmetal, il gruppo tedesco di armamenti, andate via Finsiel e Telecom, percorrendo quel pezzo di Tiburina s’incorre in palazzi abbandonati e sedi di ex aziende riconvertite in ristoranti. Un paesaggio desolante.

 

Nonostante questo però, esiste un tessuto di piccole e medie imprese che ancora resiste. Tra queste, una storica azienda di liquori: la Pallini Spa, che è qui dal 1962. “Ed è d’allora che aspettiamo il raddoppio” scherza con Il Foglio, l’ad Micaela Pallini, pronipote di Nicola fondatore dell’azienda a metà ottocento. La sua è una media impresa (trenta dipendenti e 12 milioni di fatturato) che sin dagli anni Sessanta esporta i suoi prodotti in mezzo mondo. Come? “Mica penserà che le racconto i miei segreti!”, continua a scherzare Pallini, che poi si fa seria: “Abbiamo cominciato negli anni della dolce vita con un prodotto che si chiamava Romana Sambuca, che è diventato leader sul mercato americano, e poi via via abbiamo conquistato altri mercati. Bisogna avere un progetto preciso e le idee chiare, senza megalomanie, ma conoscendo le cose che sembrano più ovvie, come le voci doganali”. Concretezza, ma anche innovazione ammonisce: “Sia presentando i prodotti in una forma diversa, sia creandone di nuovi. Noi lavoriamo su questo con l’università della Tuscia”. Poi, c’è l’innovazione dei processi industriali: “Abbiamo utilizzato l’iperammortamento”, spiega. Quando lo stato aiuta le imprese con la buon amministrazione, le infrastrutture e i servizi efficienti, loro ringraziano, ma a Roma, purtroppo, non mancano le note dolenti: “I fondi regionali vengono erogati a singhiozzo e tagliati all’improvviso, le tasse, a Roma, sono le più alte d’Italia, ma soprattutto manca una rete imprenditoriale abbastanza fitta: la città ha vissuto troppo di servizi, Pubblica amministrazione e turismo, il settore imprenditoriale ne ha pagato le conseguenze”.

 

I noti mali insomma, ma c’è di più: la mancanza di visione, soprattutto nell’innovazione, secondo Renato Brunetti, presidente e fondatore di Unidata, società romana che si occupa di reti e servizi digitali: “Roma avrebbe bisogno di diventare una smart city, ma mancano i progetti. Con regolatori dei flussi intelligenti, su traffico e trasporto pubblico si potrebbe fare tantissimo, come accade a Milano, così come sulla regolazione dell’inquinamento, ma serve una progettazione di lungo periodo. Bisogna domandarsi: che cosa vogliamo fare dal punto di vista tecnologico di questa città?”.

 

E di Brunetti c’è da fidarsi, la sua è una media azienda, ma con grandi ambizioni e un tic per l’innovazione che risale a più di 30 anni fa: “Nel ‘85, quando siamo nati, ci occupavamo di hardware, era l’era dei primi pc aziendali e domestici. Poi, nel ’93, quasi per gioco, siamo partiti con Internet. E’ finita che nel ‘99 una multinazionale inglese, ‘Cable and wirless’, ci ha acquistato per investire in tutta Europa. Erano gli anni della bolla – spiega – tutto quello che era Internet sembrava oro: Tiscali valeva più della Fiat, un’assurdità, poi, le cose si sono riaggiustate. Nel 2003 questa multinazionale si è ritirata in Inghilterra e noi ci siamo ripresi l’azienda, e siamo ripartiti nel solco dell’innovazione”. Dieci anni fa Unidata ha realizzato una rete in fibra ottica che oggi conta quasi 2.000 chilometri di cavi e utilizza la tecnologia Ftth (fiber to the home) che raggiunge una velocità di connessione di un giga al secondo, la famosa banda ultra larga. E’ grazie a imprese come Unidata che le novità arrivano anche nella Capitale. “Noi investiamo molto in ricerca e sviluppo – spiega Brunetti – adesso ci si sposterà verso l’Iot, l’internet delle cose. Per farlo abbiamo sviluppato una tecnologia wireless specifica, che si chiama Lora. Abbiamo già coperto tutta Roma, dall’anno prossimo vorremmo realizzare una serie di soluzioni di ‘smart home’, con contatori e sensori digitali”.

 

Secondo Brunetti: “L’uso prevalente di Internet nei prossimi anni sarà sull’Iot”. E’ per questa ragione che con Lazio Innova, la società della Regione che si occupa di sostegno all’innovazione, Unidata ha lanciato un bando per selezionare i migliori progetti su queste tecnologie: “Sono tutti interessanti, è la dimostrazione che buone idee e persone capaci non mancano”.

 

La stessa capacità d’ideazione che ha creato un abbozzo di ecosistema di start up innovative in città. Chiara Russo è la fondatrice di una di queste, Codemotion Srl, una piccola azienda che si occupa di organizzare conferenze per sviluppatori informatici: “Abbiamo iniziato nel 2009, era un hobbit. L’evento, però, ha avuto negli anni un successo sempre maggiore (3.000 partecipanti e speaker da tutto il mondo). Così nel 2013 è diventato un lavoro. Abbiamo aperto Codemotion Srl, grazie a un piccolo finanziamento di Lventure Group che ci ha permesso di partire subito su tre città: Roma, Madrid e Berlino”. D’allora Codemotion organizza conferenze per sviluppatori in sei paesi: “Siamo diventati il punto di riferimento per i programmatori di tutta Europa, creando un network di 570.000 sviluppatori, la figura più richiesta sul mercato”. Ma come si guadagna da tutto questo? “Le aziende si rivolgono a noi sui due lati: se vogliono presentare agli sviluppatori una nuova tecnologia o se al contrario stanno cercando nuovi talenti”. E i partner di Codemotion non sono poi aziendine: da Microsoft a Google, passando per Cisco e Ibm.

 

Intanto la Regione Lazio ha messo sul piatto 65 milioni per attrarre fondi di ventur capital e investire in progetti di start up in Regione. In 16 hanno risposto. Qualcosa si muove. C’è anche il piano Calenda, che però ieri la sindaca Raggi ha investito di un senso – poteri speciali per Roma – che originariamente non aveva. E questo complica l’iter, fa pensare che non se ne farà nulla.

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