L'Esselunga di via Palmiro Togliatti, a Roma

Arriva l'Esselunga, choc culturale tra Prenestina e Togliatti

Andrea Minuz

Viaggio nel primo supermercato della Capitale inaugurato dalla catena di Caprotti. "Dice che c’hanno molte offerte", dicono i primi clienti 

La scena sembra uscita da un universo parallelo. Milano sciopera durante il Salone del Mobile, Roma inaugura la sua prima “Esselunga”. Praticamente una vendetta. La riscossa della Capitale parte dalla wasteland sconfinata della Prenestina, altezza Palmiro Togliatti. Il 154esimo negozio della catena di Bernardo Caprotti è un enorme parallelepipedo rosso, quasi un pezzo di Brianza messo dentro il raccordo anulare, se non fosse per gli scheletri delle palazzine in costruzione e le pecore che s’intravedono in lontananza. I romani accorrono in massa. Spuntano anche Bersani, Lotti, la vedova Caprotti, Giuliana Albera. Oggi si festeggia la marcia su Roma dell’impresa lombarda. Intorno, un fiume di auto in fila smistate con efficienza dal personale, sotto lo sguardo impassibile dei vigili urbani. Nessuno suona il clacson. C’è aria di festa. Pare l’inizio di “La La Land”.

 

“Dice che c’hanno molte offerte, ma più che altro volevo vede’ com’è fatto”, mi spiega una signora nel parcheggio sotterraneo. Saliamo. Entriamo insieme nei “4.600 metri quadrati di freschezza per le famiglie romane”. Si sa che l’“Esselunga” non è mica un supermercato qualsiasi. A Milano non si dice “vado a fare la spesa”, ma “vado all’Esselunga”. E’ l’emblema di una modernizzazione di provincia, un luogo dello spirito, il simbolo del calvinismo all’italiana, pulizia, qualità, cortesia, ordine, etica del lavoro. Una storia di successo in un “paese cattolico che non tollera il successo”, come diceva Caprotti nel testamento. Suona come una sfida, allora, questa “Esselunga” nella città del papa sindacalista. “Tutto il personale nei mesi scorsi ha seguito un intenso programma di formazione per acquisire esperienza e professionalità”, dice il comunicato stampa. Ovvero, siamo pronti allo scontro di civiltà coi romani. L’Esselunga sfodera tutte le sue armi migliori. Sconti, offerte, “punti fragola”, sorrisi smaglianti. C’è anche una piccola orchidea viola in omaggio per tutti all’ingresso. “Che me da’ un’altra per mia nipote?” “Va bene signora, prego”. Non sarà facile. E’ solo l’inizio.

 

Illuminazione fredda, lunghi corridoi con la merce ordinatissima, cartelli con scritto “Ave freschezza!”, firmato “Antonio e Cleopasta”, una gigantesca insalata russa a forma di Colosseo al banco della salsamenteria. I romani studiano, attendono. Si aggirano perplessi, storditi. Però danno fiducia. “Ammazza come so’ gentili…”; “ma perché so’ vestiti come quelli dell’Atac?”; “Scusi, ‘ndo se prendono ‘sti punti fragola?”; “bello c’è pure lo spazio pe’ i ragazzini”. Una ressa di anziani a caccia di offerte, famiglie coi carrelli pieni, signore in animalier e stivaletto bianco, manager lombardi in completo blu che sfrecciano nei corridoi, arrivati qui per festeggiare i colleghi pronti alla nuova missione, “Ué… carissimo, in bocca al lupo eh…”. Alle casse, la prima delusione. Nessuno paga con la carta di credito o con il bancomat. Inutile lo spiegamento di forze del personale che chiede a raffica “Carta o contanti?” “Che carta?”. “Mo so’ tutti gentili ma voglio vede’ tra tre mesi…”, dice una signora davanti al banco dei “piatti tipici locali”, tra cui le “rosette” e i “supplì alla romana”. “Ma perché alla romana?”, si domanda qualcuno, “di dove dovrebbero esse’ i supplì?”.

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