Vincenzo De Luca - Foto LaPresse

Salerno ha un vicerè

Marianna Rizzini

Primo video su YouTube, secondo video su YouTube, terzo video su YouTube. C’è sempre un signore seduto a una scrivania in un ufficio dignitoso ma angusto e un intervistatore di Lira tv che smette di intervistare perché l’intervistato comincia a fare domande retoriche, rispondendosi con gran soddisfazione e perfetta scansione da cinegiornale Luce. Al quarto video su YouTube si manifesta senza salamelecchi l’eloquio non solo elettorale di Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno eletto per il centrosinistra ma non troppo amato dal centrosinistra.

Primo video su YouTube, secondo video su YouTube, terzo video su YouTube. C’è sempre un signore seduto a una scrivania in un ufficio dignitoso ma angusto e un intervistatore di Lira tv che smette di intervistare perché l’intervistato comincia a fare domande retoriche, rispondendosi con gran soddisfazione e perfetta scansione da cinegiornale Luce. Al quarto video su YouTube si manifesta senza salamelecchi l’eloquio non solo elettorale di Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno eletto per il centrosinistra ma non troppo amato dal centrosinistra. E dunque: i proletari veri vanno a lavorare. I proletari veri non rintronano di decibel i cittadini che dormono, e vedi se la prossima volta non rado al suolo quel centro sociale. I proletari veri non fanno i parcheggiatori abusivi da ottomila euro al mese, e finiamola col plebeismo cialtrone che vuole dare le case del Comune a chi lucra sull’ambulantato. I proletari veri non si comportano da idioti, e se fossi una ragazza col cavolo che starei con un cafone animale che fa le pinne in motorino sul selciato della piazza rimessa a nuovo dall’archistar. I proletari veri non sono imbecilli come quei caproni senza casco che mi tocca riprendere personalmente, la notte, quando non vado personalmente a contrastare gli ucraini che scaricano vagonate di prostitute sulla litoranea, e ci vado proprio, in prima linea, per dare un po’ coraggio alla polizia.

Dopo aver sentito parlare Vincenzo De Luca, nessuno più potrà chiamare “sceriffo” il Sergio Cofferati d’antan, quello degli sgomberi, della lotta al lavavetri, della guerra al kebab e della tolleranza zero per la pipì notturna contro i bei portoni di Bologna centro. D’altra parte il mito di De Luca non è Cofferati, ma il sindaco gentile Renato Zangheri, uno che “nei nostri quartieri se lo sarebbero magnato, e però che persona”, dice oggi De Luca. Qualcuno, nell’area ex Pci-Pds-Ds, digerisce a fatica il profluvio deluchiano di “law and order” (e una volta l’ex parlamentare Isaia Sales, intervistato dal Fatto quotidiano, ha dato a De Luca di “leghista-stalinista”).

Poco male, ché il sessantaduenne De Luca è in ogni caso organico al Pd per romanzo di formazione: studi classico-filosofici, lungo gravitare nel Partito comunista, contiguità geografica con i miglioristi partenopei di Giorgio Napolitano e contiguità di pensiero, a sentire De Luca, “con Piero Gobetti, Antonio Gramsci e con la Torino d’inizio secolo”. Per non parlare degli esordi politici con due sindacalisti amici di Fausto Bertinotti, con cui De Luca finì, fresco di servizio militare, nell’agro nocerino, lui giovane laureato (“ho fatto tre anni di Medicina, poi bisognava cambiare il mondo e mi sono iscritto a Filosofia”, dice oggi il sindaco, prendendosi più o meno in giro, ma con voce senza sorriso). Agro nocerino voleva dire opera di “assistenza ai contadini vessati dalla camorra”. Fu in quel periodo che De Luca si affezionò alla massima: “Resisteremo sempre un minuto in più dei casalesi”, massima ricorrente nei suoi comizi in barba ai giustizialisti di ogni ordine e grado che ogni tanto buttano lì la stanca, fumosa e un po’ invidiosa litania del fantomatico giorno in cui, a questo o a quel ballottaggio, De Luca forse fu votato anche da questo o da quell’esponente della destra (“e figurati se la destra non ha amici in zona grigia”, recita la tiritera manettara). De Luca scansa il chiacchiericcio a suon di “non mi faccio dare lezione di moralità da nessuno” e già che c’è aggiunge alle frasi predilette lo slogan anti apparatcik: “Veniamo dalla terra e non ce ne dimentichiamo”, mannaia che si abbatte sugli intellò di partito “che stanno a Roma a fare voli di pensiero, con noi qui a fare la guerra”.

Ma la guerra a De Luca piace, tanto più che oggi si ritrova sindaco per la quarta volta, con più del settanta per cento dei voti e con il punteggio più alto tra gli amministratori di capoluogo di provincia. E se innumerevoli sono i suoi sostenitori, pochi e rassegnati sono i suoi avversari – la sfidante pdl Anna Ferrazzano, “brava persona, per carità”, come dice un salernitano, ha totalizzato un non esaltante venti per cento. “Pochissimi e combattivi”, dice un giornalista locale, sono poi “i suoi nemici giurati, riuniti attorno al sito internet ‘No Crescent’”, dal nome dell’edificio prossimo venturo di cui il sindaco ha posto recentemente (e con grancassa) la prima pietra: una mezzaluna bianca a più piani che dovrà porsi a corona di una grande piazza sul lungomare. Una bruttura, ha detto un giorno Vittorio Sgarbi. Una meraviglia, ha pensato un giorno il progettista catalano Ricardo Bofill, una tra le tante stelle dell’architettura che affollano la primavera salernitana (da Zaha Hadid a David Chipperfield a Massimiliano Fuksas. “Manca solo David O. Gehry, costava troppo”, scherzano in città). Il sindaco, comunque, difende il Crescent con un motto di spirito: “Un colonnato così non lo si vedeva, se il Vaticano permette, dai tempi di san Pietro”, e liquida il comitato “No Crescent” come “flebile cosa, quattro gatti che non vogliono perdere la vista mare”. Intanto il “No Crescent”, motteggiando a sua volta contro “Vicienzo la betoniera”, continua a postare sul web le “dieci domande” al sindaco. Per esempio: “Quale è stata l’ultima volta che si è bagnato a Santa Teresa, se le è mai capitato? Non le sembra, visto lo stato penoso del nostro mare, più logico e turistico investire tutti quei soldi per ripulirlo, piuttosto che colarvi altro cemento?”. “C’è chi apre bocca e chi apre cantieri”, taglia corto De Luca dal suo sito internet, mirando a zittire sia i cosiddetti (dal sindaco) “ambientalisti da fumisteria” sia le cosiddette (dal sindaco) “anime morte del Pd”.

Nel frattempo i cittadini pro De Luca si lasciano attraversare, al pari di De Luca, da un soffio persistente di pur giustificata grandeur salernitana. Siamo come Berlino, macché, come Barcellona. Abbiamo la movida, abbiamo i baretti, abbiamo la sicurezza, abbiamo i giardini, abbiamo la raccolta differenziata, abbiamo il teatro dell’opera restaurato, abbiamo Daniel Oren, abbiamo il nuovo hotel di lusso per convegni e matrimoni, abbiamo le cento chiese ripulite. Il centro storico non è più regno di puttane e sigarette, il letto del fiume non è più dimora per topi, il lungomare s’ispira dritto a Rio de Janeiro. E quasi quasi pare tutto merito della lungimiranza in negativo dell’ex Pci-Pds-Ds che a suo tempo, nel 2006, spedì nell’urna, contro il non gradito ma già due volte sindaco De Luca, un esponente meno istrionico (Alfonso Andria), perdendo il ballottaggio come nemmeno in Puglia contro Nichi Vendola.

Non è la prima volta. Racconta De Luca che “all’inizio degli anni Novanta, quando ancora Achille Occhetto reggeva la baracca”, giunse a Salerno Giulio Quercini “per convincere i vertici locali a non votarmi, ed ero già sindaco e nuovamente candidato”. Era il periodo in cui “si portavano gli uomini della società civile, e io ero troppo grigio, troppo funzionario di partito e troppo malvestito”, dice con riso amaro De Luca. Fatto sta che il sindaco si candidò senza simbolo di Botteghe Oscure. Vendetta? C’è chi l’ha sentito parlare di “disprezzo per gli idioti che non avevano capito niente”, ma De Luca la spiega come “strategia di conquista per la Salerno moderata”: “Il mio programma, senza simboli, poteva attrarre anche la destra sana e civile della città”. Ecco dunque che oggi il De Luca quattro volte vittorioso dice al Pd “vi siete specializzati nell’arte di spegnere gli entusiasmi e di utilizzare al peggio le energie”. A Gianfranco Fini va anche peggio, ché De Luca non ha dubbi: “Silvio Berlusconi potrà aver fatto o non fatto cose gravi, ma sono comunque meno gravi dell’aver usato la presidenza della Camera per cercare di dimissionare il presidente del Consiglio”, e sono affermazioni, queste, che portano a De Luca la sempiterna disistima dell’area De Magistris-Travaglio-Fatto quotidiano. Il sindaco di Salerno, in compenso, percorso da un fremito di realpolitik, di fronte al risultato del primo turno a Napoli ha dichiarato al Corriere della Sera: “Luigi De Magistris ha comunque preso il ventotto per cento e ha interpretato quel poco che rimane della speranza di voltare pagina. Piaccia o non piaccia”. A chi gli ricorda che De Magistris un giorno lo definì “Pinocchio della politica” e “apoteosi della menzogna”, De Luca risponde: “Separo i fatti personali dai giudizi politici, e comunque l’ho querelato”.
Al gradino più basso della stima deluchiana prendono posto i colleghi in Parlamento “che non agiscono per paura di un avviso di garanzia”. Anche De Luca c’è stato, in Parlamento, tra il 2001 e il 2006 e fino al 2008, e gli si era “anchilosato il dito a forza di schiacciare il pulsante”, dice, motivo per cui è stato ben contento di tornare in Campania.

Tempo due anni, e nel 2010 si è candidato alla presidenza della regione, senza ottenere la vittoria ma causando molti patemi d’animo in un Pd un po’ bassoliniano e un po’ no e in un’Italia dei valori un po’ rigorista e un po’ no in tema di curriculum dei candidati. Per calmare gli arrabbiati De Luca ci era persino andato, all’assemblea nazionale dipietrista, a dire che sì, era “imputato per aver chiesto la cassa integrazione per duecento operai licenziati”, che ne era “orgoglioso” e che era “pronto a sottoscrivere un codice etico basato su tre punti: rispetto dell’autonomia della magistratura, accettazione dei processi e dimissioni immediate in caso di condanna”. E però quest’anno, quando De Luca si è rimesso a capo di una lista civica di progressisti, con il Pd che non compariva ma obtorto collo sosteneva, l’Idv obtorto collo si è guardata bene dal sostenere, dopo aver maledettamente sostenuto l’anno scorso – maledettamente per il Di Pietro tallonato dall’ala oltranzista dell’Idv, s’intende. “De Luca aveva promesso di rinunciare alla prescrizione per un processo di cui va fiero e non l’ha fatto”, hanno fatto notare in coro i lettori di Travaglio, a forza di leggere editoriali di Travaglio in cui De Luca veniva derubricato a “vecchia volpe” o “pluri inquisito”, ed ecco che Di Pietro ha dovuto rimangiarsi De Luca. Quanto al processo in sé – sito di stoccaggio provvisorio di rifiuti non a norma con il decreto Ronchi – De Luca si assolve in pieno: “Lei avrebbe lasciato i cittadini in mezzo alla munnezza o avrebbe portato la munnezza in un luogo non perfettamente in regola?”.

D’altronde il sindaco si è sempre autolodato anche per gli altri due capi d’imputazione che pendevano sulla sua testa (concussione e truffa), facendo inorridire gli indignati di professione: “Concussione? Rifarei tutto tremila volte. Truffa ai danni dell’Inps? Idem”. E anzi De Luca andava in giro dicendo che li aveva “distribuiti dal barbiere”, i capi d’imputazione, come “il Vangelo di san Matteo”, patrono della città, “così uno se li leggeva con calma e ci passava la mattinata”. “Questo è il Vangelo secondo De Luca”, dice un salernitano, e si sa che, quanto a devozione, “De Luca a Salerno viene subito prima del vescovo e subito dopo il santo”. Fatto sta che, appena si nomina a De Luca l’imputazione per concussione, De Luca dice “si trattava di salvare gli operai di uno stabilimento Ideal Standard in dismissione, approvando una variante urbanistica per l’apertura di un parco marino”. E siccome è “scafato”, dice di sé il sindaco, aveva capito subito che qualcosa sarebbe andato storto: “Ho detto ai miei: ‘Qui sono guai’, ma poi l’abbiamo votata, quella delibera, per il bene della collettività”. Tanto avrebbe rifatto tutto tremila volte, De Luca, che un giorno ha perso la pazienza (a distanza) con Travaglio che insisteva nelle accuse: “Quel grandissimo sfessato… spero di incontrarlo di notte al buio”, ha detto in conferenza stampa. E se Travaglio a quel punto ha denunciato (per minacce), De Luca a quel punto ha precisato le parole guascone (“era una battuta”).

Scafato per scafato, De Luca aveva capito che anche con i rifiuti si sarebbe messa male. “Nel 2000 ho avvertito: qui si va verso un disastro da Protezione civile”, dice oggi, rimirando i giorni in cui si fece inutilmente Cassandra con i vertici governativi d’ogni colore. L’abc della monnezza, per De Luca, parte dalla consapevolezza che “nell’emergenza gli unici che hanno pronti i cento camion per sgomberare i cumuli di rifiuti sono i camorristi, e quindi se non vuoi la camorra devi avere il ciclo industriale dei rifiuti”. Secondo: “Non bisogna avere paura di dire che lo slogan ‘rifiuti zero’ è una delle più grandi idiozie mai concepite, roba buona per scrivere poesie. A suo tempo mi sono trovato, dalla sera alla mattina, senza sapere che ordine dare ai miei camion perché erano state chiuse dall’oggi al domani tutte le discariche”. Di quel “calvario”, così lo chiama De Luca, restano oggi i rimproveri bipartisan a Silvio Berlusconi e ad Antonio Bassolino e il vanto dei vanti della giunta salernitana: la raccolta differenziata (Salerno detiene il primato tra i capoluoghi campani), con tanto di isole ecologiche dove buttare il divano o il frigorifero.

L’ex candidata al consiglio comunale Giovanna Saporito, sociologa e animatrice di un comitato tutto al femminile, loda infatti “da ambientalista” l’operato De Luca: “Ha fatto tanto per il verde in città, come per la sicurezza, l’occupazione e la casa. Io mi sono candidata proprio perché mi piace come lavora, con entusiasmo e amore per la città. Ai suoi critici, in campagna elettorale, dicevo: ma avete visto quante iniziative culturali? Quante azioni per il bene pubblico? Ha ricoperto il letto del fiume con le piante, ha distribuito chiavi di case popolari ai bisognosi. Ma la gente dimentica e vuole parlar male. Per fortuna qui hanno parlato i fatti”. Ai detrattori di De Luca le stesse azioni per la cultura, per la sicurezza e per la casa paiono “improntate a un populismo tutto panem et circenses”, come dice un giornalista salernitano che vuole restare anonimo, invitando altresì a “farsi un giro sul sito del sindaco”. Sul sito del sindaco un video immortala i sostenitori che sventolano bandiere come nemmeno ai mondiali di calcio e generosamente si spendono, tra un saltimbanco e un mangiafuoco, per festeggiare la rielezione. Cliccando sulla sezione “auguri dei cittadini”, si scorge poi un frenetico entrare e uscire di fan deluchiani da una cabina rossa insonorizzata in stile Grande Fratello. Gli auguri dei cittadini, in allegro sprezzo d’ogni sobrietà, comprendono applausi, urla, fischi, baci, sorrisi, signore spettinate che si sbracciano, pensionati in visibilio, giovani che fanno la òla e innumerevoli variazioni sul tema “Vincenzo sei grande” e “Vincenzo sei tutti noi”. Vincenzo, senza false modestie, sogna di “essere dentro il popolo” come un tempo a Roma Luigi Petroselli, e dal suo ufficio gongola.

A Roma invece si chiedono: ma De Luca che vuole fare da grande? Il suo obiettivo, dice un osservatore, era di “fare il grande balzo alla regione per puntare a un ruolo in un futuro governo di centrosinistra”, epperò il grande balzo non c’è stato. Un conoscitore di cose campane pensa invece che “oggi De Luca abbia tutto l’interesse a mantenersi il più locale possibile, anche perché è morta la corrente del Pd che più l’ha combattuto in Campania, quella dei Bassolino e dei De Mita”.

De Luca avverte: “Se vogliamo essere all’altezza dei buoni risultati nelle urne teniamo a mente che i problemi, a sinistra, cominciano un minuto dopo il tramonto di Berlusconi. Quel giorno dovremo smettere per forza di criticare. Ma qual è l’alternativa? Non possiamo certo continuare a presentarci come appendice dell’Associazione nazionale magistrati”. Sia come sia, al momento questi sono fatti altrui (di Pier Luigi Bersani, per esempio), tanto più che del doman non v’è certezza. E dunque De Luca nelle sere di maggio se ne va serenamente all’Opera, a vedere la “Tosca” di Daniel Oren con Giuliano Amato (il cui figlio Lorenzo dirige la messa in scena). Poi si spinge fin dove l’aria è più fresca, a godersi la prima pietra del tanto vituperato Crescent.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.