La rosa di Brera e le calze di Sala

Maurizio Crippa

Il premio della Pinacoteca ai privati che aiutano l’arte. I problemini d’immagine del sindaco  col biglietto Atm

Alla marchesa Giovanna Sacchetti hanno donato una rosa. Non è un bozzetto milanese, di quelli di tanto tempo fa, con le dame e i cavalieri con la tuba. E’ un premio, molto attuale, persino moderno, assegnato ieri. La “Rosa di Brera” è un riconoscimento che dal 2017 viene assegnato, ogni anno, a una personalità che si è distinta nel sostegno dei progetti della Pinacoteca. La Rosa di Brera data in premio è un gioiello, una spilla in oro e smalto rosa. Ma rimanda a una rosa vera, che c’è davvero: la Rosa di Brera è una varietà realizzata dal noto vivaista toscano Barni, e che dal 2017 viene coltivata anche nell’Orto Botanico, che è una delle tante meraviglie che compongono il complesso di Brera.

 

La marchesa Giovanna Sacchetti se l’è ben meritata: è presidente della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti Onlus, che da anni investe con liberalità nella promozione del patrimonio artistico e culturale italiano, e che ha reso possibile l’altro grande evento di ieri (seppure frutto di note sofferenze, specie per il direttore James Bradburne), ovvero il “Ritorno del ’900 a Brera”, cioè il riallestimento (da immaginarsi provvisorio) nelle sale centrali della Pinacoteca delle collezioni novecentesche del museo: Boccioni, Carrà, De Pisis, Morandi, Modigliani, Sironi, Picasso. Insomma cento delle opere appartenenti alle collezioni Jesi e Vitali che attendono di traslocare nel nuovo museo Brera Modern, a Palazzo Citterio quando chi di dovere avrà finito di sistemarlo.

 

Senza il contributo di privati come appunto la Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, questo allestimento (ma anche il riallestimento di alcune sale della Pinacoteca dedicate alla pittura dell’Ottocento) non sarebbe stato possibile. E infatti ieri Bradburne ha voluto ricordarlo, il valore dell’autonomia che permette ai grandi musei la collaborazione virtuosa con i donors privati: “Il successo di Brera è anche il successo delle partnership pubblico-private. Grazie alla generosità e alla visione di benefattori come Giovanna Sacchetti, siamo stati in grado di superare gli ostacoli e migliorare l’esperienza del visitatore a Brera”. Chi ha orecchie per intendere, probabilmente non intenderà ugualmente: visto che al Collegio Romano stanno lavorando per riportare al ministero anche il controllo dei contratti e dei finanziamenti fino ad ora affidati ai grandi musei. Però il “Ritorno del ’900” è bello, e vale la visita.

  

  

Non saranno colorate come le rose di Brera, ma le calze arcobaleno che Beppe Sala esibiva ieri, sui social e in foto molto ben posate, per benedire i nove giorni del Gay Pride milanese, facevano il loro effetto. Le rose hanno le spine, le calze speriamo di no, ma qualche fastidioso sassolino nella scarpa il sindaco ce l’ha, e non riesce a toglierselo. Dovrà aspettare, pare ancora un po’. Sassolini più d’immagine che di sostanza; l’immagine non è tutto ma è molto, e Sala lo sa. Il sassolino di Beppe Sala si chiama biglietto dell’Atm. Che il Comune, a fine dello scorso anno, ha deciso di portare a due euro. Quantomeno per la corsa singola urbana, perché per tutto ciò che riguarda abbonamenti e facilitazioni la tariffa resterebbe alla fine non troppo differente dall’attuale. Scelta impopolare per antonomasia, l’aumento del biglietto dei mezzi pubblici, ma fatta con una sua logica (il tema è come auto-finanziare lo sviluppo delle nuove reti). Però giocata politicamente male. Senza coordinarsi bene con Atm, e soprattutto con gli altri interlocutori istituzionali. E, peggio ancora, senza calcolare che la regione leghista e l’opposizione in comune avrebbero colto la palla al balzo. Il provvedimento passerà, ma da due giorni a Palazzo Marino l’opposizione ha messo in scena un’opposizione a oltranza d’altri tempi. Persino Silvia Sardone, neoleghista al Parlamento europeo, è rientrata a Milano per combattere la “maggioranza che vuole tartassare i cittadini”. Sala replica con sarcasmo: “Trovo rassicurante che il massimo dell’opposizione venga fuori sul tema del biglietto… non sono per nulla scosso, metterei una firma se fosse anche dibattito della prossima campagna elettorale”. Già, la prossima campagna elettorale.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"