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Il cibo italiano sarebbe sacro? Ma se siamo (ahimé) i primi mangiatori di sushi in Europa

Camillo Langone

Scrive lo storico dell’alimentazione Alberto Grandi (ricordate l’intervista al Financial Times?) che gli italiani “sono sempre pronti a buttarsi sull’ultima novità più o meno esotica, dal sushi, al poke, passando per il kebab”. Come dire che sono sempre pronti a buttarsi via

Lo storico dell’alimentazione Alberto Grandi (ricordate l’intervista al Financial Times?) a volte dice la verità. La dice con fastidioso, nichilistico compiacimento: ciò non toglie che sia la verità. Ad esempio nelle pagine dedicate al sushi del suo “Storia delle nostre paure alimentari” (Aboca): “Oggi l’Italia è il primo paese europeo per consumo di sushi e già questo dato dovrebbe dirla lunga sulla sacralità del cibo italiano: una religione alla quale credono sempre meno gli italiani stessi”. In effetti basta guardare i locali di nuova apertura, sempre più spesso alieni (se non nel nome nei piatti, se non nei piatti negli ingredienti). Veramente gli italiani “sono sempre pronti a buttarsi sull’ultima novità più o meno esotica, dal sushi, appunto, al poke, passando per il kebab”. Come dire che sono sempre pronti a buttarsi via. Siccome, materialisticamente parlando, “il cibo è all’origine della società, del pensiero, della religione e persino delle differenze culturali”. L’altro giorno nel menù di un locale che si autodefinisce osteria ho letto kataifi, Cantabrico, wasabi, patanegra, yuzu, tataki, teriyaki, quenelle, chips, burger, flan, Cesar salad, cheesecake: fine delle differenze culturali, dispersione del nostro peculiare nel minestrone globale. Sarà felicissimo Grandi, il Grande Maramaldo della Cucina Italiana.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).