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Ogni volta che trovo un vino pugliese buono mi chiedo: com'è possibile?

Camillo Langone

Tante sono le avversità materiali a cui va incontro la vigna intorno a Bari. Ma anche le avversità morali: la piaga delle razzie dei grandi gruppi del centro-nord nei confronti delle cantine del sud e ora la piaga del rosé finto-provenzale

Le invasioni barbariche, i saraceni, la grande gelata del 1234, la grande peste del 1348, i bruchi del 1504, i dazi francesi del 1887, e subito dopo la fillossera, il marciume, le crittogame, e spesso il dramma della siccità… Anziché andare al Vinitaly leggo “Primitivo. Il vino dei due mondi” (Kellermann editore) di Antonio Calò e Angelo Costacurta, una storia del vitigno omonimo e del vino pugliese tutto, dove si capisce come la vigna sia un patema continuo. Ovunque, ma intorno a Bari di più. Io poi alle piaghe materiali aggiungo più recenti piaghe morali come la piaga della barrique, la piaga dello chardonnay, la piaga della vendemmia tardiva (degna di palati asiatici, come nel libro coraggiosamente nota il produttore Gregory Perrucci), la piaga delle razzie dei grandi gruppi del centro-nord nei confronti delle cantine del sud e ora la piaga del rosé finto-provenzale… Oltre al riscaldamento globale, piaga appunto planetaria ma che sulle rive del Mediterraneo è peggio. Ogni volta che trovo un buon vino pugliese mi domando: come ha fatto questo vignaiolo a vincere tante avversità e tante pressioni? Forse è la sovrannaturale protezione fornita dal prete di Gioia del Colle, don Francesco Filippo Indellicati, che a fine Settecento scoprì un vitigno senza nome: era il primo a maturare, lo battezzò Primitivo.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).