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Camillo e Corrado nell'Italia del vino - 8

Il sangiovese in anfora e la crisi dei tappi di sughero (che inghiottirà Macomer)

Camillo Langone e Corrado Beldì

Andare per mare, pensando al vino. Consigliatissimi l’Olmo di Valturio e un vermentino Ziru 

Corrado, sono tornato dalla Puglia senza aver fatto un bagno né in mare né in piscina ed è un record, di solito due vasche da mio cugino riuscivo a farle, pensa che mi trovavo a Trani il giorno in cui c’era Salvini che prima del comizio si è immerso beato fra i bagnanti: come l’ho invidiato, vorrei essere anch’io così democratico… In compenso ho riempito la macchina di vini rosa della Terra d’Otranto.

 

Camillo, oggi ho soddisfatto il mio desiderio di mare grazie a un amico che ci ha invitati sul suo favoloso Sangermani del 1957, un due alberi che era stato del conte Giovanni Treccani degli Alfieri ed è stato restaurato alla perfezione, il fasciame in teak, i winch in acciaio satinato, il timone in mogano, i candelieri ben cromati e le vele perfette. Soffiava un buon grecale e andando di bolina siamo arrivati fino alla Molara, dove abbiamo trovato un buon ridosso per gettare l’ancora. Davanti a un piatto di ricotta e acciughe, il nostro ospite ci ha sorpresi con una bottiglia ben ghiacciata di Ziru, un vermentino affinato in anfora di terracotta e non filtrato, prodotto a Serdiana dalla giovane vignaiola Antonella Corda, perfetto per una allegra colazione in mezzo al mare.

 

Corrado, a proposito di anfore, io sui vasi vinari ho sviluppato una sorta di filastrocca. Eccola: meglio del legno piccolo (la barrique) il legno grande (la botte), meglio del legno grande l’acciaio, meglio dell’acciaio il cemento, meglio del cemento la terracotta. Però (un però c’è quasi sempre) molti produttori che usano le anfore tendono alle lunghe macerazioni, a tenere le bucce per settimane, mesi, forse anni a contatto col mosto… Come per una sorta di folle coerenza: se il contenitore è archeologico il vino deve sembrare quello di Noè… Per fortuna Luca Sanjust di Teulada (dunque origini sarde ma tenuta toscana) fa un succoso sangiovese in anfora, il Bòggina A, A appunto come anfora, che non sembra estratto da una tomba ma proprio, come si conviene, da una vigna.

 

Camillo, a proposito di archeologia, oggi a Macomer, una cittadina al centro della Sardegna che non arriva a diecimila anime, ho visto due cattedrali nel deserto: in cima a una collina un imponente nuraghe costruito nel 1800 a. C., con davanti una fila di magnifiche mucche colorate che sembravano paracadutate dalla Svizzera, ai piedi della stessa collina una fila di magnifiche ambulanze colorate con dietro un imponente poliambulatorio costruito nel 1964 d. C., che sembrava paracadutato da una città di un milione di abitanti. Attorno, nemmeno una fabbrica e solo boschi di sughere e cortecce ammassate, per cui mi sono chiesto, quando il tappo in sughero sarà sostituito dal silicone e Macomer finirà spopolata, che ne sarà di quel grande poliambulatorio?

 

Io credo che il vero concorrente del sughero sardo non sia il silicone ma il mezzo sughero ossia i tappi di briciole incollate, squallori estetici, etici, enologici. Si mantenga la tradizione del sughero intero e vero per alcune grandi bottiglie magari da invecchiamento e per il resto tappo a corona e tappo a vite. Sarà un caso ma uno dei migliori rosa che ho bevuto quest’estate, il Mezzarosa di Morella, negroamaro più primitivo prodotto a Manduria, aveva il tappo a vite. E aspetto il fresco per ribere l’Olmo di Valturio, perfetto sangiovese più montepulciano prodotto a Macerata Feltria, sempre tappato a vite. Forse non ricordi ma lo bevemmo al Tabarro quest’inverno, poco prima che lo Stato Leviatano ci avvitasse dentro i nostri appartamenti.

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