Il racconto
Schlein: "Con Manfredi batto Meloni. La legge elettorale della premier? Vediamo". La notte tilt con Conte
La segretaria del Pd: "Non siamo pronti? Batteremo Meloni con Manfredi. Mi appello a Meloni sul libero consenso. Il referendum? Firmate, basta lo spid". Conte populista fa sudare il Pd
Regalo di fine anno. Vi diamo due Schlein al posto di una. Trenta righe di Elly I (che abbraccia Gaetano Manfredi) e trenta righe di Elly II (che prova a far saltare la nomina del fratello di Manfredi come ritorsione per l’intervista al Foglio). Auguri. Segretaria, il sindaco di Napoli, Manfredi, dice che il Pd non è pronto a battere Meloni, cosa risponde? “Batteremo Meloni insieme a Manfredi, come abbiamo fatto in Campania”. Vuole cambiare la legge elettorale insieme a Meloni? “Se arriva una proposta la guarderemo per bene. Ma se le premesse sono queste allora no. Se si vantano che il loro governo è il più stabile, perché vogliono una legge che garantisca stabilità? Vogliono cambiarla perché hanno paura di perdere”. Attenti, dice “la guarderemo”…
Inizia con “una chiacchierata in off” e si chiude con i cronisti alla Camera che, increduli, si chiedono: “Schlein parla? Ma che le è preso? Perché tutta questa loquacità? Ovviamente: scriviamo tutto”.
Segretaria, farete comitati per il ‘no’ al referendum? “Non facciamo parte dei comitati ma ci metteremo la faccia”. Come è nata la raccolta firme online per posticipare il referendum? “E’ partita dal basso e a noi fa piacere partecipare a tutte le iniziative che partono dal basso. Basta firmare online con lo Spid, è facilissimo”. Arriva Giorgetti che le vuole spiegare la virtù del rigore, dei conti in ordine, perché, le dice, “del fatto che lo spread sia sotto i 200 punti ne beneficerete anche voi, un giorno”. Schlein risponde: “Con quello che state facendo su trasporti, scuola e sanità avremo più problemi, ma di sicuro io non darò la colpa a voi”. L’altro, Giorgetti, che pensa ai suoi ortaggi, e al suo orticello, replica sulla scuola (di Valditara, ministro leghista): “Ah, ma io faccio il mio!”. Avanti. Segretaria, non potrebbe beneficiare anche lei di una nuova legge elettorale, se il Pd dovesse vincere? “Se vogliono cambiare è perché ci temono. Per cambiarla gli serve tempo, un anno. Non ce la fanno. Vogliono cambiarla perché stanno in difficoltà perché hanno perso la Campania. Si vede sul libero consenso. Meloni a causa della Lega si è rimangiata l’accordo”. Domanda, dal coro: vi siete telefonate, lei e Meloni? “Da quella volta no. Anzi, mi appello a Meloni, per far rispettare l’accordo sul consenso”. E’ tutta colpa di Salvini? “E’ Salvini che aumenta i pedaggi. E’ colpa dei giudici se Salvini non sa fare il ministro? Avete visto? Nel mio intervento ho parlato di sanità, pensioni. Abbiamo ficcato la leva lì dove fa più male”. Bene.
Questa è Elly I. Saluti, baci, strette di mano, cortesia. Ora veniamo a Elly II. E’ la notte di lunedì sera, piena manovra, e Conte presenta un ordine del giorno da premio Populister 2025. E’ contro le spese militari, la Difesa, il decreto Ucraina, perché sentite, questo è Conte, rivolto al governo, “avete confezionato un decreto, l’ennesimo, per inviare armi”. Peggio. Conte si rivolge ai deputati della Lega così: “Avete fatto tantissime dichiarazioni ma poi la firma la mettete sempre. Io vi invito a ritirare le firme che sono state messe irresponsabilmente dalla nostra presidente Meloni. Quelle sono firme che schiaffeggiano gli italiani”. Il M5s presenta un altro ordine del giorno dello stesso tenore. Sono dunque due. I colleghi del Pd si guardano attoniti e si domandano come si possa andare al governo con Conte, l’alleato, che la pensa come Salvini. Come farebbe il ministro della Difesa, un Guerini, a presentarsi di fronte a Von der Leyen? Si irride Claudio Borghi ma che differenza c’è tra un Borghi, che non vuole il Mes, e Ida Carmina, del M5s, che urla: “Abbiamo le basi Nato, la Sicilia è invasa da basi Nato, da americani e via dicendo”.
Il Pd che può fare? Se vota “no” offende Conte, ma se vota sì, equivale ad ammettere che su Kyiv la pensa come Vannacci. Al solito, che si fa? Il Pd sceglie l’astensione. Cinque povere creature del Pd, rimaste in Aula, mentre Gianni Cuperlo declama strepitosamente Marzullo (“quando un giorno è appena finito e un nuovo giorno è appena cominciato; un giorno in più per amare, per sognare, per vivere”) si oppongono agli ordini del giorno del M5s. Sono Madia, Quartapelle, Merola, Fassino, Tabacci, De Micheli. Fassino fa un intervento che fa spellare le mani a FdI, Giovanni Donzelli: “Bravissimo Fassino”. Fassino dice semplicemente: “Sostenere che il tema della sicurezza oggi in Europa non si pone significa negare l’evidenza”. Non è molto diverso da quanto ha dichiarato Manfredi al Foglio. Serve un’idea credibile.
Veniamo a Manfredi. Di nuovo, lunedì mattina. Schlein legge la sua intervista al Foglio. E’ adirata. Mancano poche ore all’elezione del fratello di Manfredi, Massimo, come presidente del Consiglio regionale campano. C’è l’accordo con Roberto Fico. Anche l’opposizione lo vota. Schlein, per ritorsione, per vendicare la presunta onta, vorrebbe puntare su un’altra figura al posto di Massimo Manfredi. Si impunta. Le spiegano che se si va alla conta rischia, per la prima volta, di perdere platealmente contro i due Manfredi. La convincono a lasciare perdere. E’ un bene. Massimo Manfredi viene eletto con 41 voti su 51. Il problema è Manfredi (Gaetano) o il Pd che si deve astenersie sull’Ucraina per non offendere k’alleato Conte? Nel dubbio, per dirla alla Marzullo, votate per un una lucida insonnia.