Ansa
Il racconto
Meloni sprint dopo manova. Legge elettorale subito. La "pace" di Mattarella e le armi (a marzo) di Salvini
Approvata la manovra, si aggiusta il golden power, ma l'attenzione ora è sulla legge elettorale e sull'aumento a marzo delle spese della Difesa. Giorgetti: “Non è manovra per ricchi. Spese armi? Valutiamo in primavera”. Mattarella nel suo messaggio: pace e appello alle nuove generazioni
Meloni è forte, il governo è forte. Sicuri? Tre anni. Si sta logorando la Lega. E non basta il Cynar. Cerchiate il mese di marzo. La legge di Bilancio viene approvata, 216 voti a favore e 126 contrari, si modifica anche il golden power, si incassa l’ottava rata Pnrr. Meloni plaude, “manovra seria e responsabile”, Giorgetti fa il consumato (“è falso dire che è una manovra per ricchi”), ma alla domanda sulle spese militari risponde: “Il dibattito ci sarà dalla prossima primavera quando e se usciremo dalla procedura di infrazione”. Alla Camera Lorenzo Guerini sente aria strana: “A marzo, Meloni dovrà decidere se aumentare la sua spesa in difesa. Che farà Salvini?”. Mattarella, stasera, parlerà di pace e inviterà i giovani a prendere in mano le sorti della repubblica. Mattarella, chiamò.
La più tormentata delle manovre del governo Meloni si chiude, finalmente, senza Conte in Aula, con Salvini in volo (Giorgetti: “E che ne so dove Salvini passa il Capodanno?”). Maurizio Leo, il vice dell’Economia, che mangia solo verdurine, saluta con “Habemus manovra”. Con due emendamenti di governo si aggiusta anche il golden power che da ora in avanti non può scattare prima del parere Ue (e con quelli di prima?). Tajani in un divanetto mostra la sua cravatta dono di Berlusconi (“è di Damiano Presta”) e sul referendum della giustizia la fa semplice: “Si voterà a fine marzo, i giorni contano poco”. Ministro, conta poco che Vannacci inviti la Lega a non votare il decreto Ucraina? Conta o non conta? Tajani, che è circondato dalla sua legione Tony (Casasco, Barelli, Sorte) ha la battuta pronta: “Vannacci alla fine è coerente. E’ sempre stata la sua posizione. Quello che è certo è che noi di FI lo votiamo e lo voteranno anche i leghisti senza problemi”.
Passa Mulè, il vicepresidente della “notturna”, della seduta fiume, e si prende le lodi per la sveltezza “perché se ci fosse stato l’altro vicepresidente Costa…”, e in coro i deputati del Pd: “Finivamo nel 2026”. Ci sono Gianni Cuperlo e Marco Lacarra che sfogliano l’album dei ricordi, le battute di Pajetta. Ricordano la geniale rivolta contro Laura Boldrini, allora presidenta della Camera. Un deputato si rivolse così: “Cara presidenta, non mi funziona la microfona”. La manovra scompare e tutti si aggrappano al referendum, alle date, alla strategia di Meloni, al suo movimento. Pensa Lacarra, che è di sinistra, ma la sinistra sincera, che “Meloni sta gestendo benissimo il referendum. E’ tornata indietro sulla data non appena Mattarella le ha suggerito di farlo”. Si cerca Alfredo Mantovano, Mantofiore, che sarebbe il ponte fra governo e opposizione e il pontile con il Quirinale.
Tajani, che gestisce Forza Italia meglio di come a Mediaset gestiscono le case dei piccoli fratelli, i signori e i Signorini, ritiene che già il 7 gennaio possa arrivare la data. Chi vince? Angelo Bonelli è convinto che “il referendum Meloni lo può perdere e se lo perde…”. E se lo perdono il Pd, Avs, il M5s? Per sensibilizzare gli italiani l’opposizione sta preparando un vademecum. Chi lo scriverà? Il migliore che hanno, Stefano Ceccanti, il costituzionalista, il solo che ha capito come funzionasse la legge che disciplina i referendum, è così libero che come la maggioranza (silenziosa) del Pd vota sì alla separazione delle carriere. Nulla. Si perde l’intervento forte e deciso di Fratoianni, che ha studiato con Vendola (e si vede): “Sotto la schiuma assai sporca, quando si ritira l’onda, resta il paese reale”.
E’ la giornata di Schlein. Punge Salvini ma le manca l’ironia. Guerini, che quando vuole è insuperabile (“quello che dice la segretaria è verbo”) racconta di aver canzonato Sandro Ruotolo sulle famiglie campane: i De Luca, i Manfredi, i Mastella, “Cristo – dice Guerini – si è fermato a Eboli, ma la rivoluzione, in Campania, si è fermata sul Garigliano”. Meloni attende di capire se partire per l’America con i Volenterosi. Forse. Chissà. Speriamo. Mattarella prepara invece il suo discorso di fine anno. Si presenterà verticale, in piedi, nello studio alla Vetrata e dicono che sarà un discorso rivolto alle nuove generazioni, in occasione degli ottant’anni della Repubblica. Sarà un discorso sulla pace, sulla coesione sociale. Meloni ripete che il 2026 sarà peggio del 2025. Cosa sta accadendo? Voleva accelerare a inizio marzo il referendum per impedire la narrazione dei “pieni poteri”, per non far affollare la corsia delle riforme: giustizia, legge elettorale, premierato. Ed è preoccupata della fragilità della Lega, degli smottamenti. Salvini perde ancora pezzi in Campania e Vannacci sta preparando sul serio un gruppo. Vuole offrire l’arca a tutti gli scappati di casa, gli homeless dell’identità. Francesco Filini, lo Strabone di Meloni, dice che la legge elettorale cambierà “presto, prestissimo”. I prossimi sei mesi. E Vannacci? Risponde Filini: “Mi sembra che la sua spinta propulsiva si sia esaurita. La Lega è Salvini”.
E’ quello che pensa anche Giorgetti interrogato dopo il voto definitivo sulla manovra: “Vannacci consiglia di non votare il decreto Ucraina? Io faccio quello che dice il mio segretario e non quello che dice il vice”. Sì, ma quanto vale l’arca degli scappati di casa? Per FdI quei voti sono “pericolosi”, sono un problema. Ci siamo tolti la manovra e adesso ci si aggrappa a referendum e Porcellinum. Non è vero che Salvini mugugna sul proporzionale. Garantiscono al governo: “C’è l’accordo sulla nuova legge e Salvini non ha ragione per opporsi. Può rifarsi i gruppi”. Sbagliava il poeta. Non è aprile il più crudele dei mesi. E’ marzo.