L'intervista

Parla Manfredi: "Il Pd non è pronto contro Meloni. Le primarie non servono. Schlein? Il programma prima del premier"

Carmelo Caruso

Lo scossone del sindaco di Napoli: "Il Pd fa fatica, serve una visione chiara. Le primarie dilaniano. Il leader per battere Meloni si può indicare con un tavolo di coalizione. Nel mio governo vedrei Crosetto. Io e Salis ci saremo. Meloni fa bene a inistere con Trump e ha ragione: la libertà costa"

La sinistra può vincere le prossime elezioni: basta andare a Napoli, da Gaetano Manfredi, il sindaco che non si rassegna, l’ingegnere dello scossone. Manfredi, anche lei confida nel pareggio, anche lei crede che il meglio che possa capitare al Pd è la non vittoria? “Io credo che la partita sia aperta, credo che Meloni si possa battere, ma credo anche che serva avere una proposta credibile”. Il Pd è credibile, è pronto? “Il Pd non è ancora pronto, fa fatica. Non vedo una proposta riconoscibile che rappresenti un reale cambiamento. Serve una visione,  un programma che va costruito, con pazienza, serve qualcosa che vada oltre la parola coalizione. Serve  un fronte plurale”. Serve il modello Napoli, il suo, da Italia Viva al M5s? “Il modello Napoli è riformismo radicale e lo abbiamo messo in campo già quattro anni fa”. Come si sceglie il leader che deve battere Meloni? “Se la legge elettorale non cambierà, sarà il segretario del partito che prende più voti”. E se invece cambia? “A quel punto bisogna convocare un tavolo di coalizione e si sceglierà il profilo migliore”. Cosa ne pensa delle primarie, a sinistra? “Dipende dalla loro finalità. Le  primarie sono utili solo se legittimano una figura su cui c’è larga convergenza, altrimenti finirebbero per introdurre nuove fratture nel nostro elettorato e dilaniare. Non ce lo possiamo permettere, non dobbiamo permetterlo”. Sindaco, primarie sì o primarie no? “Nel caso di  Prodi, le primarie hanno garantito una mobilitazione e hanno unificato, ma se le primarie dividono ed esasperano i conflitti, ebbene, non servono. Non abbiamo bisogno di queste primarie”. Di cosa ha bisogno il Pd? “Il Pd deve essere il perno ma la proposta deve essere chiara, limpida. Popolari e radicali. Sento parlare troppo poco, a sinistra, di economia. Ripetiamo che dobbiamo rivolgerci ai giovani, ma siamo sicuri che li stiamo agganciando?”. 

 

Lei vede Schlein premier? “E’ giovane ma anche Meloni era giovane.  Si può dimostrare di essere adatti al ruolo, ma parlare adesso di ruoli, senza ancora un programma, a cosa serve?”. Il ruolo di Manfredi, tra un anno, quale sarà? “Sono sindaco di Napoli, rispondo ai miei elettori. Questo non significa che noi sindaci non daremo il contributo, tutt’altro. Ci siamo”. Gli chiediamo se sia vero che Prodi, Gentiloni e Dario Franceschini stiano lavorano su Manfredi candidato premier e se sia vero, si racconta anche questo, che in un palazzo di Roma dei giuristi stiano scrivendo il programma di Manfredi premier. Manfredi risponde che “non è vero” che “sono le voci di Roma”, come le voci di dentro di Eduardo, poi quasi a volere prendere le misure, come a voler testimoniare che conosce l’Italia interna, sottolinea: “Io sono un provinciale. Il mio Natale lo trascorro a casa, a Nola, con i miei genitori, mio suocero. La provincia è valore. Da tempo ho maturato l’idea che questo paese abbia bisogno di una grande riforma. Non è il premierato, non è la riforma della giustizia. Occorre una grande riforma degli enti locali”. Sta suggerendo un nuovo Titolo V? Manfredì senza infingimenti dice di sì e spiega: “Serve una grande riforma degli enti locali e intendo comuni, regioni e province, una riforma che migliori la qualità dei servizi pubblici. Ecco, se mi chiede quale riforma farei, io le rispondo: questa. Una riforma che possa sanare i tanti buchi e gli squilibri italiani per una vera giustizia sociale”. Domando cosa sia il “Modello Napoli”, quella fortunata formula che sta permettendo alla sinistra di governare con concordia la città del sottosopra, del mistero (napoletano), la città del debito come destino. Manfredi rammenta che all’inizio del suo mandato il debito era di cinque miliardi di euro e che adesso è sceso a tre miliardi: “Abbiamo migliorato la riscossione, ridotto gli sprechi, ci siamo meritati i finanziamenti della Ue, abbiamo messo insieme rigore e crescita. Si può fare. Abbiamo abbattuto le Vele di Scampia ma consegnando alloggi nuovi e degni, abbiamo tenuto insieme le due anime della città, il suo tessuto sociale”. Cerchiamo il paradosso. Sindaco, anche lei ha fatto, come Giorgetti, del rigore e della stabilità la sua regola? E Manfredi: “Bisogna essere onesti nel giudizio. Il governo Meloni ha dato stabilità ai conti. Ma manca la spinta alla crescita e la mancata crescita produce stagnazione. Parliamo spesso di calo delle nascite, di calo demografico, ma poco dell’esodo dei nostri figli. E’ quella l’emergenza”. Chi sono i ministri del governo Meloni che vorrebbe nel governo Manfredi? “Guido Crosetto è un ministro che ha interpretato con senso istituzionale il suo ruolo. Così come non posso che parlare bene di Raffaele Fitto e del ministro Tommaso Foti. Entrambi hanno fatto un buon lavoro sulle politiche di coesione”. Sindaco, cosa risponderebbe a Meloni che dice in Aula “noi di destra ci presentiamo con una risoluzione di politica estera e voi di sinistra con cinque risoluzioni?”. Manfredi replica che “la politica estera ha sempre diviso, sia destra sia sinistra. E’ un fattore divisivo. Ma non c’è dubbio che un leader di sinistra debba fare sintesi, tenere la barra dritta”. Chiedo di Prodi e Gentiloni, ritenuti i suoi grandi elettori, e del perché vengono allontanati, scacciati nel Pd come molesti. Prodi è suo amico? Manfredi quasi orgoglioso conferma: “Mi onoro della sua amicizia e aggiungo che l’Italia ha bisogno dei suoi consigli”. Lo è anche Gentiloni? “Conosco Paolo da tanti anni. Ha una credibilità europea e il futuro dell’Italia si giocherà sempre di più in Europa”. E allora perché vengono visti come vecchi nonni brontoloni? Riprendiamo dall’archivio la famosa “tenda” di Prodi, spostata un po’ più in là, dal Pd. Per Manfredi “tutti devono entrare nella grande tenda, anzi, più ampia sarà e più forte si presenta il centrosinistra. Abbiamo bisogno di queste personalità e non di un partito monolitico”. Manfredi non ha mia preso la tessera del Pd. Motiva la decisione con queste parole: “Non mi è mai piaciuto entrare nelle dinamiche partitiche. Ho avuto forse una tessera ai tempi dell’università, oggi ho quella dell’aeroporto”. Il “provinciale” è stato rettore, presidente della Crui, ministro dell’Università del governo Conte II. Parliamo così delle proteste a Napoli, alla Federico II, degli squilibrati che inneggiano al 7 ottobre, e dei troppi ammiccamenti a sinistra. Manfredi non ha paura delle proteste ma fa una distinzione: “Una cosa è la discussione e la dialettica, diverso quando negli atenei entra l’intolleranza che va combattuta con determinazione. La storia insegna che l’intolleranza conduce all’estremismo così come si è visto durante gli Anni di piombo. E’ giusto difendere l’esistenza del popolo palestinese ma si deve avere il coraggio, a sinistra, di dire che chi fiancheggia gli estremisti è nemico del popolo palestinese”. Sindaco, come convincerebbe i tanti parlamentari del M5s che sono scettici sul sostegno a Kyiv? “Semplicemente ricordando che sosteniamo non solo l’Ucraina ma il principio che non si può aggredire una nazione sovrana. Tutti vogliamo arrivare alla pace, dobbiamo, ma difendere l’Ucraina è una prerogativa per la pace”. Lei si fida di Trump o anche lei rimprovera a Meloni la equivicinanza? Manfredi pensa che “l’America di oggi è diversa dall’America di trent’anni fa, anche per colpe dei democratici” e continua, con realismo: “Trump è l’espressione dell’America di questo tempo, ci piaccia o meno, e l’America è il naturale alleato dell’Europa. E’ il luogo ideale della libertà in cui abbiamo sempre creduto. E’ naturale che Meloni insista con il dialogo. Servirebbe un’Europa che sia all’altezza. Le dico di più: io la penso come Meloni quando dichiara che la libertà ha un costo. E’ vero, la libertà ha un costo, ed è il costo della Difesa”. A Manfredi spaventa immaginare Meloni al Quirinale? “I toni apocalittici non aiutano la sinistra. Abbiamo un grande presidente che è Mattarella. Chi prenderà il posto di Mattarella dovrà essere alla sua altezza. Sarà questa la sfida più grande. Il resto è solo pregiudizio, come il pregiudizio sul sud. Conta solo il lavoro: è il lavoro che ci racconta. Oggi sappiamo tutti che il sud è il fattore di crescita e che l’Italia corre se anche il Mezzogiorno corre. Io ci credo”. Cosa voterà al referendum sulla separazione delle carriere? “Voterò no, perché la giustizia va riformata ma non è questa riforma che cambia la giustizia”. Manfredi, lei crede a Conte, sul serio non pensa che voglia sabotare Schlein? “Ho lavorato con Conte, durante il Covid. Conte non vuole sabotare anche perché abbiamo imparato che divisi si perde e c’è voglia di vincere, non si corre per perdere. Si può battere Meloni”. Non corriamo troppo? “Si può vincere solo se la sinistra farà correre la speranza. Sa, la speranza è contagiosa. Mi darà del provinciale?”.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio