L'intervista
“Sul visto negato a Breton dagli Stati Uniti, il silenzio del governo è assordante”. Parla Zingaretti
L'ex segretario e capogruppo del Pd in Ue attacca il governo: "Non ascolta Draghi e non capisce che solo l'integrazione europea può salvare l'Italia". E sul campo largo diviso dalla politica estera: "Occorre trovare una soluzione, altrimento problema enorme"
“Sul caso Breton in Italia è intervenuta solo la Lega. E per assecondare questa incredibile discriminazione, il resto del governo è rimasta in complice silenzio. E’ gravissimo. Un tempo per molto meno si sarebbe saliti al Quirinale. Cosa avrebbe fatto Meloni se al posto di Breton il visto fosse stato negato a un ex commissario italiano?”. Nicola Zingaretti, ex segretario e capo delegazione del Pd al Parlamento europeo, commenta col Foglio la reazione imbarazzata del governo alla scelta del dipartimento di Stato americano di negare il visto all’ex commissario europeo francese Thierry Breton, bollato dagli Usa come “attivista radicale che ha promosso la repressione della libertà di espressione”. La colpa di Breton è l’essere stato il padre del Digital service art, il provvedimento europeo che ha imposto diversi obblighi di trasparenza alle piattaforme digitali. Per Zingaretti l’episodio è solo l’epifenomeno di qualcosa di più grande. “Questo intervento – dice – non è un punto di arrivo ma un altro step di un escalation antidemocratica, quella Maga, che reputa obsoleto e da distruggere il sistema con il quale il mondo occidentale si è organizzato da dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Vale nei rapporti con gli altri paesi, ma anche nella politica interna. Ronald Reagan non sarebbe mai stato complice di un assalto al Congresso. Quella destra liberista cercava di affermare il proprio punto di vista all’interno della democrazia. La cultura Maga, invece, pensa che il problema sia proprio la democrazia e il sistema multipolare. E quindi prova a distruggere entrambi. Per quello oggi gran parte del nostro lavoro a Bruxelles è quello di impedire che il Ppe vada in questa direzione”.
E nell’accanimento degli Usa con Breton, Zingaretti vede proprio il tentativo di attaccare il sistema di regole che l’Ue continua ad avere: “L’Europa, con tutti i suoi limiti, ha raggiunto la massima elaborazione di regole per tutelare i diritti condivisi, ma questa nuova classe dirigente americana non lo accetta. Pensa che nel mondo digitale debbano prevalere le mani libere e la legge del più forte”. Il silenzio del governo sull’episodio, sostiene l’eurodeputato Pd, è emblematico. “Oggi – dice – i governi europei sono complici di questo disegno di destrutturazione dell'impalcatura dell’Ue. La gran parte non condivide l’idea che si debba andare avanti nella costruzione di un processo di integrazione”. E Zingaretti è sicuro che questa sua considerazione abbia un riscontro oggettivo: il prossimo bilancio previsionale della Ue. “E’ un bilancio rinunciatario, e col fondo unico distrugge la la politica agricola comunitaria (Pac). Tutto questo è stato fatto con l’avallo della Commissione, e il silenzio assordante del commissario europeo italiano Raffaele Fitto, e del Consiglio di cui il governo italiano fa parte”.
Zingaretti, dentro al Pd, è tra i più attenti ai moniti lanciati dall’ex premier Mario Draghi. A suo dire l’uomo che Meloni e i suoi non vogliono ascoltare. “Draghi – dice – su integrazione e industria ha indicato la rotta. Sappiamo tutti cosa serve fare per il futuro, ma non viene fatto, non per pigrizia, ma perché questi governi non condividono l’idea che il futuro dell’Europa e la risposta all’aggressività di Trump passino proprio dal rafforzamento della Ue. Nella classe dirigente della destra europea c’è una totale sottovalutazione del fatto che, come ha spiegato Draghi, tutto quello che noi siamo in termini di ricchezza, diritti, democrazia e libertà, è dovuto al fatto che eravamo protagonisti della rivoluzione industriale. Oggi l'Europa e i paesi europei non sono protagonisti della rivoluzione digitale, senza un ‘salto quantico’ per recuperare questo gap, non lo saremo mai, autocondannandoci all’irrilevanza”.
Intanto però il governo italiano in Europa ottiene delle vittorie. A partire dall’immigrazione. L’Europa sta seguendo le parole d’ordine del governo Meloni: rimpatri veloci, controlli alle frontiere, lotta alle ong. Il principale alleato sembra essere un governo socialista: quello danese di Mette Frederiksen. Che succede? “La risposta del gruppo socialista a Bruxelles sulle indicazioni sul diritto d'asilo è stata di univoca condanna. Infatti quel pacchetto è stato approvato con i patrioti e l’estrema destra: è la posizione della Danimarca che è isolata”.
Cambiando argomento, il 29 dicembre ci sarà l'ultimo Cdm dell’anno: dovrebbe arrivare il nuovo decreto di autorizzazione per le forniture belliche all’Ucraina. La Lega però non vorrebbe nuovi invii di armi. “La discussione in vista del 29 dicembre è ridicola: il governo non avendo una linea comune di politica estera tirerà fuori qualche insostenibile compromesso”. Anche il campo largo però non è proprio unito su questi temi… “Certo, ma c'è una piccola grande differenza: i governi che ricevono la fiducia del Parlamento hanno il dovere di dire qual è la politica estera del paese, l’opposizione no. Ed è giusto pretendere che l’alleanza nuova che prenderà corpo dalle opposizioni indichi una linea comune”.