Ansa

L'Asse Calendoni

Meloni e Calenda si capiscono e si influenzano: industria, Ucraina, nucleare e referendum

Dario Di Vico

Dal sì alla separazione delle carriere fino all'impegno per il destino del popolo ucraino: il leader di azione è considerato dai partiti della coalizione al governo importante per equilibri del centrodestra. E non solo a Roma

Roma. Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione di FdI, ha sentito l’esigenza di dirlo a chiare lettere. E di far emergere così a livello della cronaca politica ufficiale la fitta interlocuzione che la premier Giorgia Meloni intrattiene con un oppositore burbero come Carlo Calenda. E così, rispondendo alle domande del Corriere della Sera a proposito delle virtù della manovra di bilancio, Donzelli ha rilanciato l’argomento innovazione tecnologica, sostenendo che gli 8,5 miliardi stanziati per la nuova Transizione 5.0 “li chiedeva anche una parte dell’opposizione”. Quando non è solo polemica, ma l’opposizione “avanza proposte di buon senso, come in questo caso con Calenda, ascoltiamo e siamo pronti a recepire”, ha concluso Donzelli. Che il leader di Azione fosse intervenuto nella preparazione del provvedimento si sapeva. Calenda infatti ha difeso a spada tratta le ragioni dell’iper-ammortamento a scapito del credito di imposta e ha convinto sia Giorgia Meloni che i tecnici ministerial (in una prima fase scettici). Insomma il leader di Azione agli occhi della premier è stato, almeno in quest’occasione, il-ministro-dell’industria-che-vorrei al posto di Adolfo Urso, da tempo relegato agli ultimi posti nel borsino dei collaboratori della Meloni. L’iper-ammortamento era stato adottato da Calenda già con il governo Renzi al tempo di Industria 4.0, la misura di politica industriale unanimemente considerata la migliore adottata almeno negli ultimi 15 anni. Di conseguenza per lui è stato come giocare in casa. Ma non solo di incentivi all’innovazione si è nutrita in questi mesi l’iniziativa di Calenda visto che delle crisi Stellantis e Ilva il leader di Azione ha fatto un banco di prova quasi quotidiano della sua opposizione al governo. Sempre però in polemica esplicita con l’inaffidabilità di Urso e mai prendendosela direttamente con Meloni. Alla quale, tra l’altro, non è certo dispiaciuta la ricorrente polemica calendiana contro Maurizio Landini e Repubblica, rea di coccolare il segretario della Cgil in cambio di un assordante silenzio sulla crisi dell’automotive. Calenda e Meloni, al secolo Calendoni, è un asse dunque che ha dimostrato di funzionare in questi mesi e che Donzelli, per l’appunto, ha voluto benedire.

 

 

Se guardiamo a 360 l’agenda della politica governativa oltre l’industria altri ancora sono i temi che hanno visto schierato il duo Calendoni dalla stessa parte della barricata. In primis sull’Ucraina, ovvero su un punto–chiave della collocazione internazionale del paese e in difformità evidente con le amnesie riscontrate di recente sia dentro il Pd che, maggiorate, dentro gli altri partiti d’opposizione. Sulla riforma della magistratura Calenda ha votato in Parlamento a favore della separazione delle carriere e proprio qualche giorno fa ha trovato il modo di ribadire che il voto per il “Sì” al referendum rappresenta “un pezzo fondante della cultura liberale, non un provvedimento reazionario o l’espressione della destra”. Anche il nucleare è un tema sul quale il leader di Azione viaggia sulla stessa corsia del governo e su cui ha più volte avanzato proposte per ridurre i tempi della scelta. Resta la legge elettorale che Meloni vuole cambiare prima del 2027 e che Calenda, qualora il proporzionale si accompagni a un tetto ragionevole per i piccoli partiti, sarebbe pronto a sostenere. Il fattore Calenda è dunque considerato dai partiti della coalizione al governo importante non solo per gli equilibri del centro-destra a Roma. Ma anche in quelle situazioni territoriali in cui la sinistra è forte e nelle prossime amministrative ha fondati motivi di restare al potere. A Bologna, ad esempio, Fratelli d’Italia e Azione sono uniti dalla comune contrapposizione al sindaco Matteo Lepore e potrebbero trovare una qualche convergenza quando partirà la campagna elettorale del 2027. Il trait d’union potrebbe rappresentato da un rilancio della candidatura dell’ex prodiano Alberto Forchielli, che ha già fatto sapere di volersi battere contro Lepore e sul quale c’è grande attenzione da parte di Fratelli d’Italia e un discreto scetticismo da parte di Lega e Forza Italia. Ma basta spostarsi 200 kilometri a Nord e a Milano le parti sono rovesciate. E’ Forza Italia a guardare con interesse alle mosse degli esponenti locali del partito di Calenda, tanto che il vicepremier Antonio Tajani ha chiesto loro ufficialmente di far parte della coalizione locale per togliere Palazzo Marino alla sinistra.

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