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L'editoriale del direttore
Le truffe della Lega di governo
La Lega delle bandierine c’è, quella dei fatti non ha voce e la logica dello struzzo con Salvini non funziona più. Questioni di leadership
C’è una Lega che non si vede ed è quella che ogni giorno sbuffa, borbotta, si indigna, si dispera, sogna di tornare alle origini, sogna di tornare a parlare al nord, sogna di essere meno colonizzata dai barbari romani e sogna di poter spingere uno dei partiti più antichi d’Italia verso una strada che lo conduca nel futuro, verso un percorso cioè diverso da quello attuale, in cui la ricerca di un presente eterno porta a concentrarsi più sulla buona resa di un reel che sulla sana difesa della realtà. C’è una Lega che non si vede, che sogna di essere alternativa a quella attuale, che esiste spesso quando ci si occupa di fatti concreti, di quotidianità, di amministrazione delle città, di gestione delle regioni, persino di controllo dell’attività di alcuni ministeri importanti, ma quella Lega domina poco nello spazio pubblico e per quanto si ponga come una Lega diversa, più europeista, più aperta, più pragmatica, più responsabile, è una Lega che esiste molto nei fatti ma che non esistendo nelle parole non esiste nella realtà.
Matteo Salvini governa la Lega ormai da dieci anni e poco più. Può piacere, può non piacere, può essere criticato, può essere disprezzato. Ma come ha dimostrato anche nel dibattito intorno alla manovra – dibattito che in un passaggio sulle pensioni ha spinto il segretario della Lega a sfiduciare in pubblico il suo ministro dell’Economia, per interposto Claudio Borghi, senatore interprete della linea più lepenista del partito –, nella Lega c’è una leadership che si sente, ed è quella di Salvini, e c’è una leadership che non si tocca, che è quella di chi sogna una Lega diversa da quella incarnata oggi dal vicepremier. La Lega dei fatti, il cui perimetro si estende da Giancarlo Giorgetti a Massimiliano Fedriga passando per Alberto Stefani, Luca Zaia, Attilio Fontana, Lorenzo Fontana, Riccardo Molinari, è una Lega che numericamente non è più piccola della Lega delle bandierine, ma a differenza della Lega delle bandierine non ha voce, non ha forza, non ha coraggio, non ha leader e non riesce a mettere in campo nessuna soluzione diversa rispetto a quella attuale. La Lega dei fatti, che è una Lega che ha a cuore il nord, la globalizzazione, l’Europa, l’Ucraina, è una Lega che periodicamente si affaccia nel dibattito quotidiano. Ma è una Lega che, pur descrivendo spesso il proprio leader come un misto tra Chiara Ferragni e CiccioGamer, non è mai riuscita a trovare la forza di fare ciò che in questi mesi ha invece fatto l’odiato Roberto Vannacci: provare a sfidare la leadership dettando una propria agenda.
Salvini, finora, in questi anni, al netto delle sue posizioni, si è mosso in modo abile, anche nella stagione del melonismo. Ha usato i volti moderati del suo partito quando occorreva dimostrare che la Lega non è in fondo così estremista. Ha usato i volti meno moderati del suo partito per ricordare che in fondo la Lega non è mai stata così moderata. Ha usato la sua precarietà per spingere Meloni a dare alla Lega più contentini possibili (il Veneto è uno di questi), sapendo che una Lega in difficoltà rappresenterebbe un problema anche per Meloni e non solo per Salvini. E sulla base di questa consapevolezza da mesi il leader della Lega ha trasformato l’agenda della zizzania nella vera cifra della sua leadership: Meloni fa una cosa, fa un passo verso l’Europa, e Salvini critica l’Europa, anche quando va nella direzione indicata da Meloni, e lo fa di solito per interposta von der Leyen, e ogni volta che Salvini attacca la presidente della Commissione di fatto attacca tutti coloro che quella Commissione la sostengono, compresa Meloni. Il risultato, per Salvini, finora è incoraggiante. Rompere le uova nel paniere ha portato spesso ad avere qualcosa in cambio. E anche se le uova nel paniere vengono rotte su questioni che riguardano la difesa non di un posto in cda ma di una democrazia aggredita, il gioco del vicepremier non si può dire che non abbia funzionato: non si cresce, ma neanche si arretra, e dunque si galleggia, si fluttua, si sopravvive.
Meloni, finora, la Lega della zizzania ha scelto di governarla non prendendola sul serio (l’unico in Europa che prende ogni tanto sul serio le sparate di Salvini in politica estera è Emmanuel Macron, ma dopo di che poco o nulla). E di fatto sulle grandi partite finora la Lega ha sempre ingoiato tutto ciò che poteva ingoiare (e la Lega delle bandierine si chiama così perché le uniche battaglie che riesce a portare a casa sono quelle che riguardano le bandierine, non la ciccia della quotidianità di governo). Un’altra Lega esiste, è ovvio che esiste. Ma fino a che quella Lega non avrà il coraggio di trovare un volto in grado di dare voce alla Lega dei fatti, pensare che esistano due Leghe è solo un modo per negare l’evidenza: la Lega che esiste è quella che gioca con i vaccini, è quella che vuole abbassare l’età del pensionamento, è quella che vuole ridurre il sostegno all’Ucraina, è quella che non sa chi tifare fra Zelensky e Putin, è quella che combatte la concorrenza, è quella che scommette sui condoni. Fingere che vi siano, contemporaneamente, una leadership che indica una direzione e un partito che va in un’altra direzione significa non voler fare i conti con la presenza di una forza politica che, in modo del tutto legittimo, ha scelto di fare dell’Italia un punto di intersezione perfetto tra i sogni di Trump e quelli di Putin, anche a costo di diventare complici della propaganda anti europea. Vedere nella Lega qualcosa di diverso rispetto a quello che appare è dunque difficile e anche sbagliato. E se la Lega che non si vede, e che ogni giorno sbuffa, borbotta, si indigna, si dispera, sogna di tornare alle origini, sogna di tornare a parlare al nord, vuole provare a esistere davvero dovrebbe chiedersi se difendere l’interesse nazionale dei trumpiani e dei putiniani sia davvero il modo migliore per aiutare la destra a essere attenta più alla buona resa di un reel che alla sana difesa della realtà.