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il girotondo
Dopo il Consiglio europeo, difendere Kyiv è ancora più necessario. Voci dal Pd
"Il debito comune europeo per l'Ucraina? Un bicchiere mezzo pieno". Ma sarebbe servito più coraggio. Colloquio con Antonio Misiani, Giorgio Gori, Pina Picerno, Simona Malpezzi e Filippo Sensi
L’immagine del bicchiere mezzo pieno va per la maggiore. I dem si dividono fra ottimismo e amaro in bocca a margine dell’accordo trovato a Bruxelles sul supporto europeo per l’Ucraina. Dopo trattative serrate, i leader europei hanno scelto di ricorrere al debito comune per garantire un prestito da 90 miliardi a Kyiv per il 2026-2027. Scartata invece l’idea del “prestito di riparazione" finanziato con i 210 miliardi di euro di attivi sovrani russi. I rischi sono stati giudicati troppo alti da diversi leader. Il meccanismo troppo complicato.
“Abbiamo sempre confermato la linea di sostegno ‘multidimensionale’ nei confronti dell’Ucraina, come direbbe Meloni”, dice al Foglio Antonio Misiani, senatore del Pd. “L’importante è che siano assicurate le risorse necessarie per permettere al popolo ucraino di difendersi da un'aggressione che è tuttora in corso. Il fatto che si sia nuovamente sdoganato il debito comune non è una cattiva notizia.” Meglio di niente, quindi. “Per l’Unione europea supportare Kyiv è essenziale, a maggior ragione in una fase di crescente disimpegno americano rispetto al tema della sicurezza e della difesa del continente europeo”, prosegue il senatore: “Un’assunzione di responsabilità crescente dell'Europa è inevitabile, è necessaria.”
Un messaggio, questo, chiaro e ormai ampiamente condiviso, ritiene Giorgio Gori: “Credo che sia ormai chiaro che non stiamo soltanto sostenendo un paese aggredito senza alcuna giustificazione, né solo i princìpi del diritto internazionale e i nostri valori, ma anche – concretamente – la sicurezza del continente europeo”. Anche l’eurodeputato dem avrebbe preferito che Bruxelles mettesse mano agli asset russi, sebbene il giudizio per la scelta di prestare 90 miliardi rimanga positivo. Specialmente per il modo in cui si è deciso poi di procedere: “Si è scelta la strada del debito comune, a partire dalla cooperazione rafforzata tra 24 stati membri. – spiega il dem – È la quarta volta che l'Unione europea attiva un prestito garantito da debito comune. Si è fatto con Sure per l'occupazione durante il Covid, col Next Generation Eu e con Safe, con 150 miliardi per la difesa. Ma è la prima volta in assoluto che lo fa non all’unanimità. È un precedente molto importante, a mio avviso, un passo positivo verso l'autonomia e l'indipendenza dell'Ue”. La premier Meloni come si è mossa in questa partita? “Avrei preferito più determinazione sui beni russi congelati. Ma rispetto all’Ucraina le va riconosciuto d’essere stata tra i leader che hanno promosso con maggiore convinzione la soluzione del debito comune, un fatto che giudico positivamente. Non così sul Mercosur, dove Meloni ha invece giocato una partita di retroguardia, a mio avviso contraria agli interessi italiani ed europei”.
Optare per gli asset di Mosca sarebbe stato "un potente messaggio politico", secondo Pina Picerno. "Ma nonostante le divisioni di partenza, l’Ue è riuscita a garantire lo stesso livello di aiuti del 2025, 45 miliardi, con un prestito senza interessi, che verrà restituito solo al pagamento delle riparazioni da parte della Russia, e mantenendo comunque la possibilità per l’Unione di rivalersi sui fondi russi congelati”, ci dice la vicepresidente del Parlamento europeo. La modalità con cui si è arrivati a questa decisione, cioè una cooperazione rafforzata tra gli stati membri favorevoli che ha aggirato l’ostacolo dell’unanimità, "conferma che quando c’è la volontà politica, i problemi si superano, insomma, un passo significativo”. Senza la resistenza di Kyiv non esiste sicurezza europea: “I leader Ue sono molto consapevoli di questo, e del fatto che la pace duratura nasce dal diritto, non dalla resa diplomatica”.
“Difendere l’Ucraina significa difendere l’Europa”, ribadisce la senatrice dem Simona Malpezzi, anche se a prevalere è la delusione. ”È mancato il coraggio. Quello che avrebbe spinto a utilizzare gli asset russi e dare una garanzia molto più solida all’Ucraina”, dice. Il ricorso agli attivi di Mosca “sarebbe stato un grande meccanismo di deterrenza, e avrebbe posto l'Europa in una posizione di forza, anche rispetto agli Stati Uniti. Mi dispiace che la premier continui a dire che questa sia una soluzione di buonsenso”. Un segnale più forte al Cremlino sarebbe stato preferibile, è il ragionamento di Malpezzi. Tuttavia, “il supporto all’Ucraina è comunque una buona notizia”.
“I 90 miliardi li prendiamo e li portiamo a casa. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno”, rimarca Filippo Sensi. La scorsa settimana il senatore dem ha partecipato a un piccolo flashmob insieme a una delegazione di +Europa, mostrando una maxi bandiera dell’Ue di fronte Palazzo Chigi, mezz’ora prima che ci entrasse Volodymir Zelensky. Una prova tecnica di quel ritorno in piazza da lui auspicato su X, a cui però non è seguita la stessa mobilitazione collettiva della manifestazione ideata da Michele Serra. “Nella parte bicchiere mezzo vuoto ci sono gli asset russi, che restano una specie di disponibilità immaginaria – prosegue Sensi – Francamente non mi è sembrato che dal Consiglio europeo sia uscita un'Europa più forte e più unita sull'obiettivo che è quello del sostegno all’Ucraina”. Adesso, conclude Sensi, “rimane da capire questi 90 miliardi come e quando si daranno, in che forma, in che veste”. Il vertice va avanti, i conti li faremo dopo.