Il racconto

Meloni e il green deal: un "economicidio" pompato dai giornali di Elkann. La Ue rivede lo stop al diesel

Carmelo Caruso

La Commissione Ue rivede lo stop ai motori termici, le preoccupazioni del governo per le fabbriche Stellantis in Italia e la narrazione sul green deal, opera per FdI dei quotidiani del gruppo Gedi. Le angosce sull'industria

Meloni da adesso farà il pieno di “avevo ragione io”. La Commissione europea ingrana una mezza retromarcia sullo stop al diesel nel 2035. Si potranno ancora vendere automobili con il motore termico, passa una mezza neutralità tecnologica mentre il taglio delle emissioni scende dal cento al novanta per cento. Sapete come Meloni chiama lo stop al diesel? Un “economicidio”. Vi diciamo anche cosa pensano a Chigi, in FdI, di John Elkann, dei giornali che sta per cedere. Pensano che finora il presidente di Stellantis abbia  alimentato, maldestramente, attraverso i suoi quotidiani, Repubblica e Stampa, il racconto “economicida” che ha favorito le politiche sul green deal. Pensano che Elkann chieda oggi all’Italia, alla Ue, di “togliere quei vincoli che i suoi giornali hanno propagandato”. 


I giornali si possono vendere e comprare, meglio se si vendono a editori innamorati delle parola, ma le fabbriche di auto, una volta chiuse, non si riaprono. Meloni lo sa. Tra un anno ci avvicineremo alle elezioni e il governo non può sopportare che sotto elezioni Stellantis chiuda fabbriche. E’ la grande crisi industriale, e lo dicono i sindaci del Pd, “il solo cigno nero che può fare perdere le elezioni a Meloni. Rassegniamoci. Solo una grande crisi, devastante, la chiusura di stabilimenti di Stellantis può incidere sul risultato. Ormai non ci riuscirebbero neppure i magistrati”.

 

L’angoscia di Meloni è l’industria. Resta sul tavolo la questione Ilva, con i suoi trentamila operai, e c’è da capire come abbattere, davvero, il costo dell’energia, il più alto d’Europa (ci sarà un decreto). Stefano Patuanelli, uno che con Giorgetti si messaggia, ha stilato in una nota le doglianze. Scrive Patuanelli che una cosa è la stabilità, ma un’altra è la produttività. Patuanelli cita i dati sulla produzione industriale che in Italia continua a crollare: “32 mesi di calo su 36 mesi dall’inizio del governo”. Parliamoci chiaro, un anno fa, Stellantis ha siglato un patto con il governo. In cambio di un atteggiamento meno aggressivo ha preso impegni ufficiali. Li ha presi di fronte al ministro Urso, che ieri ha salutato la svolta Ue sul diesel come “breccia nel muro dell’ideologia ma ora, aggiunge Urso, serve riunione organica, radicale e concreta”. Una vulnerabilità è rappresentata dallo stesso Urso, un ministro che Matteo Renzi ha puntato, bersaglio delle sue critiche contro il governo. Urso è il lato debole dell’esecutivo. C’è chi nel governo si spinge a dire che “neppure Mattarella avrebbe da ridire su un suo eventuale cambio”.

 

Se Meloni e Giorgetti hanno riscritto la manovra mettendo, direbbe Elsa Fornero, una paccata di denaro, 3.5 miliardi, sull’industria è perché entrambi sanno che l’industria può far perdere le elezioni. A maggio 2025 è cambiato l’ad di Stellantis. Si è insediato Antonio Filosa, un italiano, ma i volumi delle auto dipendono dal mercato e non dalla carta d’identità. Volkswagen chiude oggi il primo impianto della sua storia a Dresda. Per Le Echos il gruppo si sposta in Spagna, nelle parti di Barcellona, epicentro delle city car elettriche. I rapporti fra Elkann e il governo sono tornati civili e Meloni, ad Atreju, ha ricordato che “Landini faceva le interviste a Repubblica ma fischiettava sulla Fiat”.

 

Il cdr di Repubblica ha risposto a Meloni in un comunicato che “ci risulta piuttosto che Meloni coltivi ottimi rapporti sia con John Elkann che con il possibile acquirente di Gedi”. E’ vero che i rapporti sono buoni ma solo perché anche Elkann avrebbe capito il fallimento delle politiche Ue. Raccontano in FdI che è stato Elkann a chiedere al governo Meloni chiarezza normativa in sede europea, togliere vincoli, alleggerire l’Europa pachiderma. E’ la prova, dicono nel partito, che chi “è causa del suo male pianga se stesso”. Il male dell’editore Gedi è aver assecondato “una narrazione alla Greta Thumberg, un racconto che ha portato l’Europa dell’auto allo sbando fino alla decisione di ieri di rivedere lo stop al diesel. Un economicidio”. Al prossimo editore di Repubblica il cdr chieda prima di tutto la libertà, ma in seconda battuta chieda cosa ne pensa del motore a scoppio. 

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio