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L'editoriale del direttore

C'è una mediazione italiana sul Donbas

Claudio Cerasa

Il piano: uno status speciale per il Donbas ucraino e supervisione internazionale. Un test per Meloni

C’è una mediazione italiana, ancora segreta, che potrebbe cambiare il destino della guerra in Ucraina e che potrebbe permettere all’Italia di giocare una partita per la pace fatta non solo di sostegno militare, economico, finanziario, ma anche diplomatico. Perché è una proposta importante? Cosa prevede questa proposta? E cosa ci dice sul posizionamento del governo sul tema dei temi, ovvero la difesa dei confini dell’Europa, ovvero la difesa dei confini della democrazia? Ci arriviamo.

Nella storia recente di Giorgia Meloni, ormai lo sappiamo, l’Ucraina occupa da tempo un posto speciale all’interno del meccanismo che misura la reputazione della leader di Fratelli d’Italia. Nel 2022, il sostegno dell’opposizione alla causa dell’Ucraina permise a Meloni di fare uno scatto per uscire dalla stagione degli scheletri nell’armadio ed entrare nella stagione della credibilità di governo. All’alba del 2026, ovvero all’alba dell’ultimo anno di governo di questa legislatura, l’Ucraina si presenta di fronte a Meloni come lo specchio di una credibilità diversa: la sua capacità di sapere essere solidamente atlantista senza essere eccessivamente trumpiana, la capacità di essere in linea con l’agenda europeista senza essere in conflittualità con l’agenda trumpiana, la capacità di essere dalla parte dell’Ucraina mediando tra un alleato che non ama Trump e uno che non sa scegliere tra Putin e Zelensky trovando una strada diversa da quella macroniana per difendere Kyiv ma restando il più possibile distante dal filoputinismo lepeniano. Con la difesa dell’Ucraina, nel 2022, Meloni riuscì ad aprirsi una strada per Palazzo Chigi. Con la difesa dell’Ucraina nel 2026, Meloni ha un compito altrettanto difficile: tenere, dal governo, la barra dritta, ed essere dalla parte giusta della storia senza mettere un dito nell’occhio dell’alleato americano, cosa di cui i suoi alleati europei, almeno a parole, si preoccupano un po’ meno. Per capire qualcosa in più sul momento Kyiv del governo Meloni ci sono almeno tre aspetti da mettere a fuoco. Il primo aspetto riguarda la direzione. Il secondo aspetto riguarda la convinzione. Il terzo aspetto riguarda le soluzioni.

Sulla direzione poco da dire: il presidente del Consiglio, a differenza di un suo importante alleato e a differenza di buona parte dell’opposizione, è con Kyiv, è con la Nato, è a favore dell’invio delle armi e non considera la difesa dell’Ucraina un ostacolo alla pace. Sulla convinzione poco da disquisire: l’Italia è sul treno giusto, finanzia l’Ucraina, invia armi, vota a favore delle sanzioni, vota a favore del congelamento preventivo degli asset russi, sostiene l’impegno dei volenterosi, ma sceglie sempre di farlo da una posizione più defilata, con qualche distinguo, con qualche prudenza, un passo indietro rispetto agli altri, nei vagoni centrali e non più nella locomotiva. Sul terzo aspetto, invece, sulle soluzioni, vi sono alcuni aspetti interessanti, che si possono provare a mettere insieme, per provare a capire cosa intende Meloni quando sostiene la promozione di una pace “giusta e duratura”. A livello interno, entro il 31 dicembre la maggioranza, vedremo con quali sfumature, rinnoverà il decreto sulle forniture delle armi a Kyiv. A livello europeo, l’Italia sosterrà entro gennaio il ventesimo pacchetto di sanzioni alla Russia e anche sul tema del congelamento degli asset russi, seppur con qualche distinguo, l’Italia non ha intenzione di accodarsi ai veti promossi dai paesi filoputiniani.

Nella traiettoria del governo, elemento interessante, vi sono però tre punti cruciali che corrispondono a tre tentativi di mediazione che ci possono aiutare a capire quali potrebbero essere i punti di caduta di una trattativa sull’Ucraina alternativa alla strategia della capitolazione. Meloni, come è noto, è stata tra i primi leader a sostenere la necessità di tenere unito l’occidente in Ucraina, nel dopoguerra, attraverso l’utilizzo di una formula speculare all’articolo 5 della Nato: patto per l’Ucraina con una serie di paesi non solo della Nato per avere un sostegno militare vincolante in caso di future aggressioni russe. Il governo, inoltre, sostiene, come da proposta del ministro Giorgetti, di poter contribuire, come tutti i paesi europei, al piano per ripagare i danni causati dalla Russia all’Ucraina attraverso garanzie stanziate in proporzione al peso che ha il pil di ciascun paese in Europa mettendo però quegli stanziamenti fuori dal calcolo del deficit, ingranaggio che ancora non è stato messo a punto. Dal punto di vista militare, il ministro Guido Crosetto, insieme a molti partner europei, sta studiando un meccanismo ulteriore, per creare un sistema di difesa extraeuropea, allargato anche ai paesi non europei, all’interno del quale far entrare l’Ucraina, per garantire un ombrello ulteriore all’Ucraina, sul modello della forza multinazionale di risposta rapida messa a terra anni fa dal Regno Unito con la Joint Expeditionary Force (di cui fanno parte, oltre al Regno Unito, anche i Paesi nordici, baltici e i Paesi Bassi). Dal punto di vista diplomatico, invece, il tentativo del governo per portare un contributo sul dossier più complicato, ovvero il futuro dei territori contesi, è quello di lavorare a una mediazione “creativa” sul Donbas.

La consapevolezza dei paesi europei è che il Donbas è ciò di cui ha bisogno Putin per giustificare la guerra, una guerra che evidentemente allo stato attuale la Russia non potrebbe dire di aver vinto quattro anni dopo il tentativo di entrare a Kyiv in pochi giorni, e che contemporaneamente Zelensky non può in nessun modo cedere ai russi ciò che il suo esercito ha difeso militarmente ed eroicamente in questi anni, e il Donbas come ha spiegato giorni fa Paola Peduzzi sul nostro giornale è la vera fortezza che ostacola la strada del Cremlino verso l’intera Ucraina. La soluzione promossa dall’Italia, ancora non ufficializzata, è questa: congelamento immediato della linea del fronte e status particolare per il Donbas ucraino con supervisione internazionale modello Unifil. I confini di questa soluzione non sono chiari (con quali soldati, con quali truppe, con quali paesi coinvolti, con quali garanzie di non sconfinamento futuro) ma un equilibrio ci potrebbe essere: Zelensky potrebbe dire di aver salvato il Donbas, Putin potrebbe dire di aver allontanato un territorio dall’Ucraina, l’Europa potrebbe dire di non aver accettato il ricatto di Putin, Trump potrebbe sostenere di avere difeso la pace presente e quella futura. La mediazione sull’articolo 5 tiene. Quella sul Donbas modello Unifil chissà. Che poi non basti un tentativo di mediazione per aiutare l’Ucraina del futuro è tutta un’altra storia.

 

 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.