Il Foglio Weekend

La dolce vita di Atreju

Michele Masneri

Dalla prima della Scala alla fiera dei libri di Roma, fino alla Atreju “jubilee edition” di Giorgia Meloni: tra vin brulé, presepi, gourmet bus, filosofi mancati e panel sull’AI, va in scena una Roma pacificata e natalizia, un Valtour di governo e cazzeggio dove si sta soprattutto per stare insieme. Pandoro o panettone, albero o presepe: è Natale, in fondo

E tu a dicembre vai alla Scala, alla Nuvola o ad Atreju? E’ un mese come sempre ricco di opportunità ed eventi questo, con tre dei più grandi riti identitari nel giro di una decina di giorni. Cominciamo dall’ultimo, la kermesse identitaria di Giorgia Meloni.  E’ una Atreju deluxe, decisamente quella della consacrazione di governo e soprattutto di ceto. E’ una Atreju borghese, versione “Jubilee edition”, anche un po’ après ski, questa che va in scena a Roma fino a domani.  Temperatura perfetta nei tendoni trasparenti, tutto maxi: due sale stampa invece che una, 9 giorni invece che otto, tre tipi diversi di pass. Lo sfondo a tutto è  blu Atreju, un blu-nero molto elegante, un filo più scuro del celebre blu Estoril di giambruniana memoria. Radio Atreju ha un suo nuovo avamposto, anche questo trasparente, detto “l’acquario”, dove il deejay ricciolone vestito da Babbo Natale Marco Gaetani  sottopone gli illustri ospiti alla “ Ruota della fortuna di Atreju”, e passa l’universo mondo, da Mara Venier a  Pietro Senaldi; c’è il “premio Atreju alla carriera” (andato a Beppe Vessicchio, in memoriam). E grafica elegante, il nuovo logo sembra quello di un’acqua minerale di quelle  in vetro dei ristoranti stellati, che costano più del vino. Post-Fiuggi insomma. E poi altre differenze rispetto allo scorso anno, la pista da pattinaggio questa volta ad anello, tutto più articolato, non più al dispersivo (e un po’ da fagottari) Circo Massimo ma attorno a Castel Sant’Angelo che fa molto “Tosca”, e dall’altra parte si sbuca sulla nuova piazza Pia rimessa in ordine da Gualtieri. E’ una Roma pacificata, questa natalizia, finalmente con addobbi e luminarie degni di una città europea, forte anche del patto tra comune e governo. Può finalmente competere con Milano. Atreju versione giubileo si snoda come un presepione ai piedi della tomba di Adriano-poi carcere: c’è appunto il castello, ci stanno tante capanne, che vendono cibi, bevande, presepi (molti presepi), e poi i tendoni degli immancabili talk. Il centro però è l’albero di Natale, ovviamente tricolore, con illuminazione a led verde bianca e rossa, ed è tutto un “ci vediamo sotto l’albero”, “sono sotto l’albero, non mi vedi?”. Passa dall’albero Arianna Meloni, va di corsa al tendone “Giustizia Giusta” (l’altro si chiama “Rosario Livatino”, è un Atreju molto referendario) e forse il grande albero segue il nuovo diktat di “Giorgia” che quest’anno si è fotografata ai piedi di un sontuoso abete, ritorno alle origini per lei che si definiva “cintura nera di albero di Natale”, però nel frattempo è tornato “virale” (vabbè) un suo vecchio video in cui si diceva  invce “presepista”  (seguiva piagnisteo vittimistico, ci vogliono togliere il presepe, i ladri di presepe sotto Natale sono un evergreen della destra, è come a sinistra Zerocalcare che disdice la partecipazione a qualcosa). 

 

Insomma, albero o presepe, pandoro o panettone, tanti riti, e cosa c’è di più bello, a Natale, di un bel rito collettivo? Tradizioni: a livello culinario, Davide Oldani per la cena del dopo-Scala ha dichiarato che  ‘il  menu è stato pensato con alcuni tocchi milanesi su una base di cucina italiana classica’ tra cui ‘spaghetti 3D Artisia’,  ‘Vellutata di zucca con semi tostati, polvere di caffè e sciroppo al balsamico e il Baccalà tiepido setato con uvetta appassita’ e poi ‘Rustin Negàa’ di vitello, “Un piatto tipico milanese, con quel sound del dialetto milanese che quasi diventa internazionale”. Ad Atreju invece si rimane più sul classico,  birre artigianali, polenta, arrosticini abruzzesi. Ma ieri sera alle 20 partiva il Gourmet Italia Bus, un torpedone bianco a due piani dell’Enit, l’Ente del turismo,  da piazza Cavour non lontano da qui, e girava per Roma con a bordo la ministra Santanché in un tour da Grande abbuffata  a delibare prelibatezze made in Italy per il  riconoscimento della cucina italiana a patrimonio Unesco . Unico bus funzionante nella Roma oltretutto bloccata dagli scioperi consueti dei mezzi del venerdì (Fellini, dove sei? Torna). E’ chiaro che il melonismo punta molto sul food come elemento identitario. Già c’era stata  la tavolata coi sindaci in diretta Rai a mezzogiorno qualche settimana fa che ricordava le trasmissioni di Wilma De Angelis, e l’immediata illuminazione del Colosseo dell’altro giorno sempre per la vittoria Unesco. Tajani invece posta sui social un video di lui che gira un enorme mastello di quello che sembra un risotto alla milanese.  Chissà che direbbe Oldani. 

 

A livello alimentare, tristanzuola l’altra grande kermesse di dicembre, cioè la fiera dei libri di Più libri più liberi, ogni anno giù nel deep Eur, alla Nuvola. Panini così così, prosecco e tartine del privé “business lounge” al primo piano, per scrittori ed editori, e giornalisti. Più gustose come sempre  le polemiche. L’anno scorso era stato il filosofo forse manesco Caffo, quest’anno la sconosciuta casa editrice di destra “Passaggio al bosco”, che come si sa ha fatto il tutto esaurito. Ma, genialmente, mica ha preso uno stand ad Atreju, sennò chi se la filava? Ad Atreju manca infatti per essere veramente una kermesse completa la figura del filosofo o scrittore o vignettista  che  fa il gran rifiuto, con grande risalto su giornali e siti. Volendo, un Osho sarebbe perfetto, servirebbe un Osho che però ogni anno butta giù un disegnetto: “Aho, volevo tanto venì ma nun posso accettà” – inserisci impedimento etico. Per la presenza magari di un banchetto di estrema sinistra. Gli editori di estrema sinistra però o non ci sono o non sono così scaltri. Che poi: costerà di più uno stand a Più libri, o ad Atreju? Che differenza a metroquadro?  Il problema è forse anche che il super comunista la pensa esattamente come il postfascista: infatti è stato accolto con tutti gli onori Marco Rizzo, ospite da sempre ghiottissimo qui. Non se ne esce.  Non funziona, e addio marketing. 

 

Ma i libri non mancano, non possono mancare. Ecco, ad Atreju,   giovedì pomeriggio, presentazione del volume “La gaia incoscienza. Immaginario del tecnopotere” di Guerino Nuccio Bovalino, edizioni Luiss. Lo presenta Sebastiano Caputo, giovane in ascesa nel mondo romano tra geopolitica e giornalismo e Circolo degli Scacchi, un young Da Empoli di destra. “Bovalino ci guida nella giungla simbolica del tecnopotere, dove Elon Musk è il Cavaliere Oscuro e anche il Joker, Donald Trump è il wrestler e villain da kolossal, mentre Peter Thiel tesse trame da dietro le quinte”, dice la quarta di copertina. Tutti bevono vin brulé, signore col colbacco, sembra Cortina InConTra degli anni Novanta. Da Bovalino a Bova, ci spostiamo nel tendone principale dove si svolge uno dei panel più attesi, quello con Raul appunto Bova che racconta della sua vicissitudine, la pubblicazione del suo audio privato a una signorina, finito online, quello celebre di “buongiorno essere speciale dagli occhi spaccanti e dai baci meravigliosi”, già proverbiale. Eccolo, Bova, tutto in nero, e aria intimidita, mentre Arianna Meloni in dolcevita chiaro è chiaramente la boss in casa sua  (in prima fila, la mamma d’Italia Anna Paratore). E’ tutto un “Come dice Arianna Meloni”, “Approfitto della presenza di Arianna Meloni”, “Arianna ti invito a riflettere”, “voglio concludere con Arianna”. Il tema sono i social, la loro deriva, la fine della privacy, i deepfake, cioè i video finti dell’AI, “ma chiamiamoli in italiano”, proclama l’attore Fabio Ferrari, l’indimenticabile Chicco dei “Ragazzi della Terza C”, e di “Vacanze di Natale a Cortina”, ricevendo una grande ovazione. “Il 41 per cento degli italiani non sa cosa vuol dire deepfake”. Ferrari sogna un mondo dove si parla in italiano e “se pubblichi un falso te vengono a prendere a casa e te portano in galera!”. Altra ovazione. Servirebbe un mondo invece dove “ognuno per entrà sui social deve dà la carta di identità”,  dove ognuno “se facesse i cazzi suoi”, chiarisce ulteriormente il suo pensiero Ferrari. 

 

Insomma i social, il web, l’AI, sono il nuovo nemico, sono un po’ il nuovo gender, pare di capire, del resto il gender, parlandone da vivo, ha perso, è come il suo parente, il  woke, non si portano più. Poi certo bisognerebbe sentire il grande amico di Giorgia Elon Musk cosa ne pensa dell’idea di identificare tutti quelli che vanno sui social. Arianna termina citando papa Francesco, nel suo discorso contro l’AI. Una povera rappresentante di Meta fa una timida  difesa d’ufficio della modernità e della categoria. Ma  i temi e il dibattito sembrano un di più, quasi una scusa. Si sta qui per stare insieme, è Natale in fondo. La pesantezza è da “poveri comunisti”. Chiaro che questi della nuova destra sono molto più bravi ad annusare la modernità, cavalcarla, giocarci, vedere come va, in quest’epoca di meme. “Adesso abbiamo puntato su Pasolini per farli impazzire”, mi dice tutto contento un pezzo grosso di Fratelli d’Italia. “Poi prenderemo pure Calvino”. Mi chiedo come non abbiano ancora pensato all’arma finale,  Eugenio Scalfari, del resto nel momento in cui la Repubblica finisce al fantomatico editore greco “amico della Meloni”, perché non rispolverare i trascorsi giovanili del young Eugenio nel Guf?  Scalfari nel pantheon di Atreju, già, perché no? Forse perché i giornali non li legge nessuno, e tra i giovani nessuno saprà chi è. Ci vediamo sotto l’albero, comunque. 

 

E che albero. Niente a che vedere col tristo abete di Natale verde, fatto di carta e libri, nella hall gigantesca della nuvola di Fuksas, appunto alla fiera dell’Eur. Manco illuminato.  E lì va in scena l’Italia de sinistra, l’Italia pensosa, cioè gli scrittori a forma di scrittori, lo stand di Repubblica parlandone da viva, col talk su Pasolini, ormai contendibile,  l’enorme banco di Zerocalcare che in absentia vende e fattura comunque. Certo ci son momenti notevoli anche lì. Cortocircuiti. Domenica scorsa, nella galassia di salette del mezzanino che si chiamano Sirio Antares Saturno, tra le presentazioni della “prima graphic novel della Polizia di Stato”, il libro di don Antonio Loffredo prete anticamorra del rione Sanità, uno di Vanni Santoni sulla psichedelia, in una velocissima carambola di libri ed editori, tipo speed date letterario,  ecco quella del libro di Gilda Moratti, attivista ambientalista e salvatrice dei delfini, ed ecco un pubblico molto più da Scala, o volendo da Atreju: a parte la mamma Letizia Moratti, scortata da due bodyguard con l’auricolare, ci sono il principe Colonna, il principe Fabio Borghese pronipote di Junio Valerio, dei Brachetti Peretti, dei  ricchi milanesi generici, Sandra Carraro, e Minoli. Però a parte questi cortocircuiti, il core business di Plpl è ancora il woke. Il woke è il presepe di Plpl.   

 

Verso l’ora di chiusura, nel rito ormai codificato, nell’ultimo giorno di Plpl, la liturgia prevede infatti che tutte le scrittrici di area salgano su dal privé in processione, prendano la scala mobile per l’ascensione al  piano più alto della Nuvola (stairway to heaven) e vadano a celebrare Michela Murgia. “Michela Murgia e la famiglia; Michela Murgia e la radio; Michela Murgia e il femminismo”,  è la scaletta. E poi: “Michela Murgia e Stephen King”. Non si sa in quale segmento,  in collegamento da Yale c’è uno dei più stimati membri di quella che fu la famiglia queer, il figlio d’anima Alessandro Giammei, col suo cravattone,  ma  non ci son più gli applausoni dell’anno scorso, quando il murgismo era ancora roboante. Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia queer è infelice a modo suo? Vedi mai che l’anno prossimo questi di Atreju si prendono pure la Murgia. Volendo, qualcosa si trova.  Il cattolicesimo, le fiere origini locali, anche la fiera resistenza fiscale. Forse più collocabile in quota Lega che Fratelli d’Italia, però. A proposito di Fratelli d’Italia, incredibile che Atreju di Arbasino non si sia ancora appropriata o accorta, ma forse l’algoritmo meloniano non lo calcola, è il suo santo destino, del nostro gran lombardo, non essere appropriabile, rimanere in una nicchia (l’unico, forse, a non essere mai stato né fascista né comunista).  Che rap che avrebbe fatto, però, su Atreju.  


Comunque rispetto all’eccitazione molto istituzionale della prima milanese, e alla vaga depressione di Più libri più liberi, ad Atreju si respira un’atmosfera più giovane, giocosa. Dalle casse esce “Jingle bell rock”, i guardiani all’ingresso sono più rilassati degli altri anni, c’è uno spirito più di cazzeggio, sono passati i “TheJournalai”, il collettivo dei  videogiornalisti ggiovani che animano l’omonima pagina Instagram, e vengono qui e sfottono un po’ tutti, che si lasciano sfottere. “Non tiri fuori la pistola” al sottosegretario Delmastro Delle Vedove, quello della festa con la sparatoria di capodanno. Poi sempre ieri i volontari hanno organizzato un altro scherzone, un finto sciopero alla Landini. Con striscioni del fantomatico “Sindacato autonomo dei volontari di Atreju contro Donzelli”, Donzelli che gli son spuntati i capelli grigi, non è più Minnie, è Basettoni. E’ il vero dominus e animatore  e G.O. (Gentil Organisateur) di questo Valtour di lotta e di governo, un po’ Cortina e un po’ piazza Navona delle bancarelle della Befana. Ecco, i volontari. Son mille, son giovani e forti, han l’aria simpatica, e il pass. Chiedo a qualcuno: la sera che fate? Niente, andiamo a letto o a bere una cosa qui, la maggior parte son romani, anche perché per stare una settimana a Roma non è che si posson pagare l’albergo.   I giovani avventori non hanno invece particolari caratteristiche estetiche  a parte l’abuso di Barbour verde (molti meno loden degli anni scorsi, forse conta anche la temperatura mite). Non c’è, rispetto alla vecchia destra delle barbe e delle occhiaie e dei cappotti da poliziotto, quel dato di differenza antropologica, che fa dire a un militante riflessivo che mi racconta con definizione fulminante– ovviamente sotto l’albero di Natale -  “sono diventati di destra in quanto soggettoni, non soggettoni in quanto di destra. I vecchi esponenti di Fdi hanno tutti quell’aria di chi non è mai stato a Milano”. 

 

Però qui invece le nuove classi dirigenti meloniane, o almeno quelle sotto il tendone,  han più l’aria di chi fa Milano-Hotel Cristallo di Cortina in due ore, cinquantasette minuti e ventisette secondi. Soprattutto le donne. Le signore son tutte bionde,  c’è parecchia chirurgia plastica, ma moderata, non i vecchi nasi rifatti all’insù tutti uguali di Roma Nord. Un labbro superiore pizzutello, non a gommone. Che stia nascendo anche un “Atreju look”, versione italiana del “Mar a Lago look” americano? Tinta di capelli: “lavish biondo cenere Roma sud”, come dice un mio amico sapiente, da Giorgia e poi Arianna, in giù. Finte bionde vanziniane, con moderazione. Anche una certa tensione non politica ma vitalistica, quando arriva Bova gli si buttano tutte addosso, bocche guizzanti e occhi spaccanti. Lui è protetto dai giovani della falange di Atreju. Arianna Meloni, in dolcevita di cachemire chiaro, lo ringrazia per “il coraggio di raccontarsi”. Suonano le musiche natalizie. Ci vediamo sotto l’albero. E anche questo Atreju... 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).