Il racconto
L'impronta di Repubblica. Le ostie di Scalfari, la mansarda di Caracciolo. I ricordi di Luigi Zanda: "Elkann la sfregia"
"L'interesse della destra per Repubblica è peloso. Elkann prima ha sfregiato la memoria dello zio Caracciolo e ora anche quella del nonno. Verrà ricordato solo per lo sfregio all’Italia". Parla Zanda, amico di Caracciolo e Scalfari
Roma. “Io vorrei parlare. E’ un bisogno che sento da giorni. Io vorrei parlare, provare a dire cosa è stata Repubblica, raccontare quei nostri anni irripetibili, lo sviluppo tumultuoso di un quotidiano. Io vorrei parlare di una mansarda, quella che dividevo a Via Po con Carlo Caracciolo, l’uomo che insieme a Eugenio Scalfari si inventò L’Espresso e il più grande gruppo editoriale della sinistra in Europa. Sono stato senatore del Pd, presidente di Lottomatica, segretario generale del gruppo Espresso, amico di Repubblica, di Scalfari, di Mario Benedetto, scomparso, di Ezio Mauro, di Carlo De Benedetti. Io vorrei parlare”. Luigi Zanda vorrebbe parlare di John Elkann, nipote di Carlo Caracciolo e di Gianni Agnelli che “ha sfregiato la memoria dello zio, prima, e quella del nonno, dopo. Elkann verrà ricordato solo per lo sfregio all’Italia”.
A Repubblica arriverà forse un editore greco, Theo Kyriakou, mentre della Stampa non si conosce il destino. Chiediamo a Zanda se abbia aperto la Stampa di venerdì 12 dicembre, visto la pagina in difesa del giornale, l’intervista a Gianrico Carofiglio, e Zanda risponde che non l’ha vista. Dice però che si ricorda quando “i giornali venivano infilati nella tasca della giacca, esibiti, per farsi riconoscere”, quando su Repubblica “scrivevano Levi-Strauss, Umberto Eco, Giorgio Ruffolo” e pensa che “Gianni Agnelli e Scalfari avrebbero usato le parole più sferzanti nel vedere i loro gioielli ridotti a merce. Repubblica è stato un pezzo della mia vita, della nostra. La sua cessione non è solo la cessione di un giornale. La sua vendita influirà su una parte dell’Italia”. E La Stampa? Non era forse il quotidiano di Norberto Bobbio, di Alessandro Galante Garrone? Che impressione le fa vederlo difeso da Carofiglio? “Sa, il declino, quando arriva, travolge ogni cosa. Travolge le parole, i pensieri, i giornali. E’ tutto in linea con il declino. I giornali hanno perso lettori come la democrazia ha perso i votanti. La crisi dei giornali è l’altra faccia della crisi dei partiti. Si perdono copie come si sono perse le grandi figure. Non vedo giganti. C’è un rapporto fra le due cose”. E della destra, di Ignazio La Russa che difende oggi Repubblica cosa ne pensa? Cosa ne pensa della redazione che chiede la difesa dell’italianità a Giorgia Meloni? “Anche a me suona strano questo interessamento di La Russa, l’arrivo dell’offerta di Del Vecchio. Penso che il momento è adesso cosi drammatico, doloroso, che una redazione, una comunità, è costretta a rivolgersi al governo. Dimostra a che livello sia arrivato l’allarme. Bisogna salvare i posti di lavoro ed è chiaro che si inizi a pensare alla propria famiglia, alla fatica spesa dentro a una redazione. Si pensa agli anni che sembrano improvvisamente perdere di senso. Fare il giornalista è un mestiere fantastico, ma è un mestiere che ti consente di vivere solo per quello. Ho visto giornalisti consumarsi, vivere la professione con una passione tale da soffrirci. Si soffriva per una parola tolta da un direttore, si cambiava umore per un suo complimento. E poi c’erano gli editori. Carlo De Benedetti, che ha sempre difeso l’indipendenza dei suoi giornalisti, dopo aver letto un articolo che riteneva brillante, scriveva personalmente al giornalista”. Elkann conosce chi scrive sul suo giornale? “Dubito che conosca le firme e dubito che legga Repubblica. Ma lei mi ha chiesto cosa penso della destra”. E ho anche chiesto di Pier Silvio Berlusconi che ammicca, che lascia intendere che sarebbe bello comprare Repubblica.
Zanda, seduto sulla sua poltrona bianca, all’ultimo piano della sua casa, vicino a Piazza Farnese, a Roma, un appartamento arredato come i suoi capelli, bianchi e irregolari, con “I Demoni” di Dostoevskij sul tavolo, porge il caffè e poi risponde “che quello della destra per Repubblica è un interesse peloso. Mi creda, questa destra non ama i giornali, non li ama, come non li ama Elkann, che si sta muovendo da proprietario e non da editore. Per fare l’editore ci vuole l’impronta come scrive Roberto Calasso che ha fatto grande Adelphi. L’Espresso non sarebbe mai potuto nascere senza l’intuizione di Caracciolo e Formenton, senza Mauro Benedetto che ha guidato il Gruppo Espresso nel tempo del suo massimo sviluppo. Benedetto è morto ieri all’improvviso. Eravamo molto amici e mi mancherà”.
Zanda parla di amore, dei viaggi di Scalfari e Caracciolo a Parigi “solo per incontrare Bernardo Valli. Prendevano l’aereo per il piacere di passare una serata con Valli. Solo una cena”. Per conversare? “Per il piacere di conversare con un giornalista che si stimava, che si riteneva amabile”. Mi parla del colpo che ha segnato la supremazia di Repubblica sul Corriere. “Quando Francesco Merlo decise di lasciare il Corriere della Sera e trasferirsi a Repubblica – ricorda Zanda - fu il segnale che Repubblica era il giornale dove tutti volevano lavorare. Il Corriere era stato battuto come idea. Un giornalista come Merlo aveva scelto Repubblica. Era un’incoronazione. Per Repubblica”. E prima ancora? “C’era stato Alberto Ronchey a cui Scalfari aveva affidato la rubrica “Diverso Parere”. Eravamo così forti che ci potevamo permettere di ospitare chi non la pensava come noi”. Lasciamo i telefoni squillare e lasciamo cadere a terra le parole, senza fretta. Zanda, si scusa, e chiede di alzarsi per prendere “degli appunti”, “delle idee che ho conservato”. Le preferisce sulla carta, la carta che è stanca, e poi racconta: “Ho visto solo due giornalisti iniziare a scrivere senza fermarsi. Uno era Scalfari e l’altro era Giuseppe Turani, Peppino. Il pensiero si liberava esatto, senza correzioni. Dall’inizio alla fine. Scrivere per loro era come giocare una partita a scacchi. Sapevano sin dall’inizio dove volevano arrivare. Era una facilità di scrittura che oggi possiedono in pochi”. Ha visto scrivere Scalfari? “L’ho visto scrivere a casa. Cenavamo insieme ogni settimana. E poi c’era la cena che avevamo chiamato ‘la cena dei cretini’, ogni domenica”. Chi eravate? “Reichlin, Manzella, Fabiani. Una sera qualcuno disse: ‘Quello è intelligente’. E un altro: ‘E noi siamo forse cretini?’. Da allora l’abbiamo chiamata la cena dei cretini. E’ impossibile spiegare la frattura che la cessione di Repubblica provoca se non si torna indietro, se non si parla della forza di Repubblica. C’è stato un tempo in cui l’editoriale di Scalfari si attendeva la notte. Ricordo le file dell’auto, in doppia fila, a Piazza Colonna, per acquistare le prime copie del giornale. A casa di Scalfari, a mezzanotte, arriva il fattorino e Scalfari ne faceva omaggio agli invitati. Sembrava il sacerdote che distribuiva l’eucarestia”. E Caracciolo? “A Via Po avevamo scelto una mansardina come ufficio. Lavoravamo insieme e battevamo la testa perché il soffitto era basso. Era un’organizzazione snella. Caracciolo si occupava della grammatura della carta, della distribuzione, dell’inchiostro, si preoccupava di trovare le sedi delle redazioni locali. Sul suo tavolo aveva ogni giorno il tabulato delle vendite e del reso. Diceva Agnelli che Caracciolo era il più grande editore europeo. Io vorrei …”.
Ne vuole parlare? “Vorrei parlare del giorno in cui abbiamo inaugurato la sede di Sassari, della Nuova Sardegna, di quando Repubblica venne teletrasmessa per la prima volta. Ricordo ancora l’emozione. Caracciolo, lo zio di Elkann, aveva costruito un gruppo di giornali locali strepitoso. E’ stato il primo a capire l’integrazione carta, giornali, radio. Il gruppo L’Espresso possedeva oltre venti giornali locali. Avevano un peso in ogni città. Sono stati smembrati, venduti da Elkann. Prima l’Espresso, poi Micromega, pian, piano è stato ceduto il resto fino ad arrivare a quest’ultima vendita, la definitiva. Fare l’editore non è come fare l’imprenditore. E’ una missione civile. Ritengo che sia giusto chiedere al nuovo editore che linea voglia avere, conoscere il numero degli esuberi. Qual è il suo piano? In che modo ha intenzione di risanarlo? Se lo vuole risanare”. A Elkann cosa andrebbe chiesto? “Andrebbe chiesto non perché vende ma perché abbia deciso di comprare il gruppo se la sua intenzione era abbandonarlo. Ci sarà presto da capire cosa voglia fare della Juventus e c’è da preoccuparsi. Elkann poteva essere un editore e ha scelto di fare il proprietario”.
Zanda stira le gambe. Mi accorgo che porta ai piedi delle friulanine che sarebbero senza dubbio piaciute a Caracciolo. Parla dell’eleganza di Caracciolo, “che non era esibita”, poi dell’amicizia. Gli chiedo quanti errori sono stati fatti per amicizia, nel giornalismo, e quante redazioni sono state scalate grazie ad amici. Zanda fa allora la differenza fra “capacità di amicizia” e “l’amicizia di Repubblica”. Parla del “cinismo” di Caracciolo ma vuole trovare le parole giuste. Si interrompe e spiega che “Caracciolo non ha mai scelto un direttore per amicizia. In questo parlo di cinismo, un cinismo che ha aiutato l’editoria. Caracciolo aveva amici, ma ha sempre pensato al bene del giornale. Prendeva i migliori e non i migliori amici. La Repubblica è rimasta grande perché Scalfari scelse Ezio Mauro come direttore. Se sbagli un direttore o un’assunzione si ripercuote su un giornale. Caracciolo era tentato da Lucio Caracciolo al punto da volerlo inviare a New York e indicarlo dopo alla direzione. Alla fine si scelse Mauro e Caracciolo si dedicò a Limes. E sono stati due successi”. I direttori di Elkann sono stati scelti per amicizia? “Avevano le giuste qualità ma non era più l’epoca d’oro. L’Espresso vendeva trecentomila copie e Repubblica un milione in edicola. Oggi non si riesce a spiegare che senza giornali un sistema, una democrazia si ammoscia”.
Gli domando allora perché la famiglia De Benedetti abbia ceduto il Gruppo Espresso. Prima i figli di De Benedetti e oggi Elkann, che è figlio della storia Agnelli. Un altro figlio, Leonardo Del Vecchio, ha presentato un’offerta per rilevare Repubblica, rifiutata da Gedi. Sono i figli la sciagura italiana? E Zanda: “Ho una teoria. Mi sembra che le generazioni vadano a singhiozzo. Una generazione buona e un’altra pessima. C’è da sperare nei nipoti”. Scoppiamo a ridere quando entrambi pensiamo “al nipote dell’Avvocato” poi Zanda torna serio e dice: “Quando Elkann decise di acquistare Repubblica, La Stampa, il gruppo, tutti abbiamo pensato: chi meglio di lui? Chi altro in Italia avrebbe garantito il prestigio delle testate? Chi altro avrebbe potuto garantire continuità editoriale? Credevamo che Repubblica fosse finita in mani attente. Rischiava di chiudere il Corriere e invece”. E invece al Corriere è arrivato Urbano Cairo. “E ha salvato il giornale. All’inizio nessuno si fidava. Cairo ha rilevato La7 e almeno per qualità ha realizzato il primo Tg italiano. Ha vinto la sua sfida. Ha preso il Corriere e oggi è il quotidiano destinato a rimanere, nel panorama, l’unico giornale nazionale popolare. Cairo ha restituito valore al patrimonio del Corriere mentre Elkann lo ha disintegrato, impresso velocità alla decadenza”. Ha mai conosciuto Elkann? “Lo ricordo ragazzo poi non l’ho più visto. Non conosco neppure questo editore greco ma vorrei sapere quale filo lo lega all’Italia, se c’è. Voglio conoscere che tipo di rapporto c’è fra questo editore e i sauditi. Mi auguro solamente che Meloni se ne tenga lontana. Un governo deve occuparsi di far rispettare le regole, far adempiere i doveri fiscali. Ci dobbiamo chiedere se dopo la colonizzazione del calcio arriverà la colonizzazione dell’informazione”. Su un piccolo tavolo c’è una copia de “La Guerra dell’Oppio e la nascita della Cina moderna” di Julia Lovell (Einaudi) e sulla parete un quadro russo, l’assalto al Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo. Ci guardiamo prima di salutarci perché dice Zanda, “io penso di aver parlato”. Vuole ancora parlare di cosa è stato per il Pci, per il Pd, il Gruppo Espresso? “Il successo di Repubblica viene segnato dalla stagione della solidarietà nazionale. Era di quel mondo che volevo parlare. Di quando portavamo in tasca Repubblica”. Continuerà a comprare Repubblica? “Rimarrò abbonato come rimango iscritto al Pd”. E’ un’impronta.