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Salvini (senza) giudizio: una chat per controllare il Veneto. Il “partito” Vannacci

Carmelo Caruso

Non sarà la Cassazione a decidere il destino del leader della Lega, ma il caos che lui stesso ha generato: tra l'ex generale che scalpita e l'ex governatore che incombe, il vero giudizio arriva dalla sua leadership ormai in bilico

Roma. La vera condanna sarà assolverlo. Il  giudizio su Salvini, sul caso Open Arms, non lo darà la Cassazione che si pronuncia sul ricorso della Procura di Palermo. Non lo darà, e non solo perché Salvini ha chiesto il rinvio dell’udienza per  un’indisposizione dell’avvocato Giulia Bongiorno. La pena di Salvini l’ha inventata Salvini e si chiama Vannacci, mentre il suo fantasma resta Zaia. Al primo, a Vannacci,  ha fatto credere che avrebbe preso il suo posto e Vannacci ci è cascato (ieri era in abito gessato alla Camera insieme all’ex pistolero di FdI, Pozzolo, per provare costruire il gruppo Noi con Vannacci), a Zaia prova a portare via la vittoria schiacciante in Veneto. E’ un vicepremier, è ministro ma Salvini ha bisogno di controllare personalmente i consiglieri regionali appena eletti. Al suo responsabile Enti Locali, Stefano Locatelli,  ha dato mandato di creare una chat di 24 membri che si chiama “Eletti Veneto 2025”. Ne fa parte ovviamente il presidente eletto, Alberto Stefani, il Dogino, ma ne fa parte anche il capo di segreteria di Salvini, Daniele Bertana, oltre a Giulia Lupo, giovane leghista padana, lombarda.

 

Che c’entra una lombarda con il Veneto? Cosa significa? Significa  che Salvini  vuole marcare il territorio. Al Quirinale, pochi giorni fa, quando si è accesa la torcia olimpica di Milano-Cortina si è avvicinato ad Attilio Fontana, Zaia, Maurizio Fugatti spiegando che quando la Lega non litiga, come in Veneto, la Lega vince. Nel suo mondo come volontà e rappresentazione, Salviniland,  l’Ucraina ha perso la guerra, lo dice da giorni. Meloni ogni volta che ascolta Salvini  apre le braccia come a dire: “Provateci voi a governare con Salvini e Claudio Borghi”. Chi continua a dire che Salvini non è un problema, non conosce Salvini. In attesa della sentenza della Cassazione, in caso di condanna, è pronto a fare il perseguitato, a mettersi alla guida dei comitati referendari per la separazione delle carriere, ma se assolto può fare di peggio. Riprenderà a dire che  il ruolo di Matteo Piantedosi, il ministro della Calma e dell’Interno (apprezzato da Mattarella, che ieri ha fatto visita al Viminale) gli spetta e che gli è stato ingiustamente tolto. E’ da anni che si strascina il processo Open Arms e non pare vero a Salvini di trovare una procura come la immagina Salvini. E’ vero che il leader della Lega sull’Ucraina bluffa, che sull’Ucraina è pronto a votare gli aiuti in Cdm, ma è altrettanto vero che disturbando vuole cambiare il decreto. L’ultima sua trovata, il tentativo, sembra opera di Giuseppe Conte, il premier pretermesso. Salvini chiede che venga inserita nel decreto una pecetta, il suo salvo intese, per precisare che si garantisce il sostegno a Kyiv ma tenendo conto dei nuovi scenari. E’ ancora convinto che Putin siglerà la pace per poter tirare fuor, così,  tutte le vecchie felpe Putinieske. Il guaio è che Salvini è alla fine meno peggio di Vannacci. Ieri il generale si è presentato alla Camera e ha radunato tutti i senza casa, i parlamentari clandestini dell’identità. Ha fatto riunione con Pozzolo, Manlio Messina, altro fuoriuscito di FdI. Si sono aggiunti i leghisti Anastasio Carrà, Rossano Sasso, il castigatore antigender. E’ già un gruppo, una specie di Zattera della Medusa, e Vannacci è lo scafista. Il giudizio su Salvini non è quello della Cassazione. Ai leghisti veneti controlla i telefoni (e orienta le decisioni) come i genitori con i figli, a FdI prova a portare via consenso sulle armi (lui che era per le armi sotto il letto). Salvini è come l’Europa. Ne abbiamo solo uno e bisogna tutelarlo. Tolto Salvini ci resta Vannacci, che dice “ho comunanza di visioni con Pozzolo”. Avere Salvini segretario della Lega è per Meloni una legittima difesa. A destra di Salvini c’è il circolo di caccia. 

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio