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l'editoriale dell'elefantino

Non solo il caso Albanese. Fenomenologia del degrado intellettuale di Bologna

Giuliano Ferrara

Da allegra e colta a malmostosa e ignorante. Quale morbo ha contagiato la città? Il caso della relatrice speciale dell'Onu e altre mortificanti follie, senza marcia indietro

Ma che gli è preso al demone divino di una città come Bologna? Quale altro morbo ha combattuto e vinto la sua spensieratezza e anche la sua drammatica, spettacolare allegria, la sua pastosità, la sua bellezza piazzaiola e cattedrale, le sue glorie municipali, la sua resistenza al vecchio vizio dell’italiano che da Milano infallibilmente marcia su Roma e da Firenze pretende di imporre il dominio universale del Rinascimento, che fine ha fatto la sua civiltà filologica, la pastosa eccentricità della vita civile nel grande studentato, la severa gustosità dei suoi portici e ristoranti? In un giro di tempo brevissimo Bologna ha monumentalizzato, celebrato, emeritato con le chiavi della città il nullismo antisionista di una chiacchierona di serie B e poi ha vietato un corso di Filosofia per gli allievi in divisa dell’Accademia di Modena. Due mortificanti follie, e a quanto pare senza marcia indietro.

Che sbilenca stranezza per un ambiente famoso per la litigiosità e l’altezzosità romantica della sua musica, tra Wagner e Verdi, in un intrico di luoghi dove la voce di Carmelo Bene portò Dante Alighieri a un popolo di poeti di strada squinternati e gaudenti, in notti di raucedine e tuoni vocali tra le Torri che strizzavano il tempo, il ritmo, l’accento nella prosodia della sua bellezza. Come si può tanto stonare in un posto così incantato e cantante? Ci vorrebbe una speciale sovrintendenza incaricata di tutelare non tanto l’onore, che in sé può essere il superfluo della retorica, ma la vitalità e l’intelligenza di una città così infinitamente cara a questo dolce e sciagurato paese, un hub, un crocevia naturale che non si sarebbe mai immaginato come una cattiva scuoletta o un magistero della più piccola ideologia contemporanea.

Bologna è un patrimonio nazionale, un luogo speciale in cui lavoro e guadagno, amicizia e chiacchiera, senso e conoscenza, consumo della vita individuale e spesa dell’esistenza collettiva, tutto si tiene in una particolarissima sociologia della felicità. Bologna è elegante senza farlo apposta, bella senza troppe pretese, cattolica e sociale con l’accompagnamento sperimentale del marxismo comunale e civico, e del meglio delle avanguardie storiche, solidale e fiera, due cose che non sempre vanno d’accordo, come gli aggettivi scelti da uno dei suoi grandi padri spirituali, il sommo Biffi, per definirne certi tratti da tempo controversi: sazia e disperata.

Un’Emilia e una Bologna prostrate di fronte ai nemici degli ostaggi rapiti a Israele, e poi pacifista fino al disdoro di rifiutare la conversazione filosofica ai soldati, con un sindaco che straparla, l’università che strabocca di grottesco, ma che Bologna è diventata Bologna? Difetti e incarognimenti, come tante altre città italiane, anche Bologna ne ha avuti, basta pensare all’omicidio di Marco Biagi e alla sua bicicletta abbandonata, e di stupidate fu anche generosa, questa città calda e umida e fredda nel cuore delle stagioni estreme. Eppure chi mai avrebbe potuto pensarla ignorante e riottosa, malmostosa e tirchia?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.