Il racconto
Schlein la pattinatrice. Missione: salvare il Colle. A Montepulciano è Mattarella il solo faro del Pd
È la segretaria di tutti, ma si fida solo di lei. Il Correntissimo la incorona candidata premier, ma lei abbozza, parla di percorsi programmatici. Pattina e allarga la sua maggioranza. La speranza è il pareggio e il soccorso del presidente della Repubblica
Montepulciano, dal nostro inviato. Mattarella, salvali tu. Gli chiederanno di fare il terzo mandato. Elly Schlein ha da oggi la sua casa nel bosco, la Fattoria di Montepulciano (l’unico wi-fi che funziona è Starlink di Musk). È il podere di Franceschini-Orlando-Speranza, con i rustici Ascani-Marco Meloni e la foresteria Zingaretti. La sinistra va a cherosene. Tre giorni, 1.500 interventi e finisce così. Lo annuncia Michela Di Biase, la naturale vice di Schlein: “La candidata premier è la segretaria. Aggiungiamo allo statuto, in assemblea nazionale, che sarà l’unica candidata del Pd alle primarie”. La dovevano sostituire, “ma chi?” (si chiede Igor Taruffi) e la definiscono ora “Schlein, soluzione naturale” per sfidare Meloni. La incoronano ma le modellano la corona. E Schlein: “Non siamo un partito personale, non siamo una caserma. Sono la segretaria di tutti. Ringrazio la guida sapiente di Mattarella”. La fronda è adesso leva obbligatoria, “Elly, portaci al grande pareggio”. Non credono di vincere, anche se lo urlano, ma sono convinti che possono pareggiare, salvare il Quirinale, entrare nel bosco, trovare il rifugio di Mattarella, il fuoco e il latte caldo del presidente. Il Colle è la loro Ucraina.
Al posto del pugnale le porgono il fiore, l’Elly non ti scordar di me (la notte che faremo le liste). Scriveva il poeta Robert Frost che “due strade divergevano in un bosco ed io presi la meno battuta / e questo ha fatto tutta la differenza”. Non sostituiranno Schlein perché hanno scelto di andare fino al fondo di se stessi. E questo fa tutta la differenza. Si chiamano ancora “cari compagni” e si commuovono quando ascoltano la parola “comunità”, quando Nicola Zingaretti usa il lessico comunista, la gola e la lacrimuccia, e spiega “abbiamo confuso la parola riforme con riformismo”. A Prato si sono ritrovati i riformisti di Lorenzo Guerini, ma c’è ancora spazio per loro in questo Pd? Dario Franceschini, che ormai è raccontato, anche da Meloni, come il grande pericolo (“capace di inventarsi di tutto. Se pareggiamo poi entra in campo Franceschini”) suggerisce: “Guardate, e raccontate per una volta, questa classe dirigente di quarantenni”. Dicono che questi tre giorni servano a lasciare il passo e poi, certo, a comunicare a Schlein, che da soli, come dicevano le nonne, “non arrivi da nessuna parte, ti passa anche la fame”.
Franceschini sta lasciando il passo a Di Biase e Alberto Losacco. C’è Roberto Speranza, l’ex ministro della Salute, a cui un giorno l’Italia chiederà scusa, che con Nico Stumpo taglia la legna della buona sinistra. Andrea Orlando, che ragiona sulla “forza”, ha puntato su Provenzano (sarebbe stato Provenzano senza Orlando?) e su Marco Sarracino ma resta ancora lui, Orlando, il segretario che “sarebbe stato bello avere, il figlio del partito”. Sotto un capannone di tredici metri per cinquanta, la tensostruttura, si congela il patto tacito. Il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, l’unico a dirla chiara (“Schlein non doveva cadere nella trappola di Meloni”) dà ormai per scontato che “la segretaria sarà la candidata a sfidare la premier”.
Si ragiona di assemblea Pd, da convocare il 12 e 13 dicembre, ma Taruffi non conferma, e in quell’occasione Schlein potrebbe chiedere l’investitura a candidata premier. E’ troppo intelligente per non sapere che stanno puntando su di lei ma in realtà si stanno stringendo intorno a Mattarella “offeso”, “attaccato” dalla destra come urla Provenzano, il Gromyko che, finalmente, rimette a posto Francesca Albanese: “Non esiste nessun monito da dare ai giornalisti. La violenza è da respingere con forza”. E’ suo insieme a quello di Orlando, Cuperlo, Zingaretti e Speranza il discorso mondo, il quello che siamo e quello che vogliamo. Dario Nardella, e si vede che è stato il vice di Matteo Renzi, attacca a viso aperto Giuseppe Conte, il Casanova della repubblica, perché “caro Giuseppe Conte, se non riusciamo neanche a essere uniti nel rispondere alle provocazioni di Giorgia Meloni, su come partecipare alla festa di Atreju, come possiamo dimostrare ai nostri cittadini che dobbiamo costruire un'unità convincente e credibile?”.
Sono più di mille militanti e si sono pagati il viaggio e l’albergo e, credeteci, vale la pena anche solo per ascoltare Gianni Cuperlo, lo scrittore, quello vero, e non le mezze calzette (caro Pd, smettila di inseguire Carofiglio, Michela Ponzani, questi intellettuali al lampone che ripetono slogan sciroppati come le pesche: “liturgia nera”, “linguaggio eversivo della destra”, la “nazione di sangue e stirpe della Meloni”, “il maschio bianco”). Solo Cuperlo riesce a citare, senza fare il trombone, “Fiesta” di Hemingway (“siamo finiti in bancarotta ed è accaduto un po’ alla volta, all’improvviso”) e ancora quella stupenda novella di Anna Maria Ortese, “Gli Occhiali” (chi legge ancora Ortese?). E’ la storia della bambina miope che in un basso di Napoli vede tutto come poetico salvo poi inforcare gli occhiali e scoprire tutta la miseria del mondo. Dice Cuperlo che “non bisogna solo indossare gli occhiali ma provare a cambiare il mondo, come ha provato Di Vittorio. La sua foto, in Sicilia, è incorniciata insieme a quella della Madonna”. E’ rimasto il romantico comunista che piace al popolo ma c’era bisogno di attendere oltre due anni di segreteria prima di Montepulciano? Aleggia il congresso anticipato perché l’assemblea si farà “come minimo” (dice Boccia) e Sarracino, che ha il merito di aver organizzato l’evento, il gran successo, insieme a Stumpo e Losacco, risponde “il congresso lo abbiamo fatto qui, a Montepulciano”. Hanno una piattaforma, si sono spostati, sono radicali, e chi vuole bene al Pd non ha che da augurare: speriamo che basti. Non vogliono il riarmo europeo (Guerini, che ne pensi?) lo dice Speranza che alla fine risulta il più diretto quando consiglia a Schlein di fidarsi, perché “un nuovo gruppo dirigente è più forte se ha radici in profondità. Sfrutta al meglio le potenzialità di questo partito. La posta in gioco è alta, altissima. Non è solo il governo del paese. Il tema non è solo quello. Il prossimo Parlamento non darà la fiducia, ma eleggerà il prossimo presidente della Repubblica. Bisogna impedire che venga eletto un presidente post fascista”.
Laura Boldrini, e non si fa nessuno spirito, chiede la liberazione di Marwan Barghouti e dice “che io davvero ho fatto della lotta del popolo palestinese la mia battaglia. Non c’è nulla da scherzare”. Abbiamo tutti freddo ma tutti ci riscaldiamo di parole. Si invocano “grandi momenti di confronto”, l’autocoscienza, “siamo stati per troppo tempo considerati il partito delle élite”, “la parola partito non è una parolaccia”, e il “dibattito” torna a essere il portachiavi dell’homo Pd. La difenderanno, a loro modo, perché Schlein è la segretaria, la candidata, ma non se la prenda, cara segretaria, se qualcuno le dice: anche meno. Parla per oltre 50 minuti e chiede a Meloni di rispettare i patti sul libero consenso. Ma il suo dire è non dire. Non dice se vuole l’assemblea o il congresso tanto che dobbiamo chiederlo a Franceschini e lui: “Non mi pare di aver sentito la parola congresso”. Dunque assemblea? Ci sono tre commi che hanno allarmato. Sono tre commi e stabiliscono che, volendo, si potrebbe scegliere un altro candidato Pd alle primarie. Non lo farà nessuno ma a 1.500 militanti non si può rispondere come fa Schlein, “la discussione continueremo a farla ma allo stesso tempo quel confronto deve aprirsi, respirare. Il momento è arrivato”. E’ ancora la strategia Atreju: carotaggi, esperimenti. Solo che dall’altra parte non ci sono apprendisti, ma stregoni del voto, autentici. Anche Schlein, come Meloni teme giochi di palazzo, quei governi di salute pubblica, altrimenti Taruffi non ripeterebbe “se andremo al governo andremo con questa coalizione, e governeremo solo se gli italiani ci sceglieranno. Sia chiaro”.
Lo deciderà Mattarella, chi e come governerà, tanto più se dovesse esserci questo pareggio che è la nuova utopia. Da quando è segretaria, Schlein non ha mai incontrato il presidente. Ora anche lei lo chiama babbo Mattarella e sono raffiche di non “permetteremo alla destra di offenderlo”. A Montepulciano le fanno capire che è segretaria grazie a loro, ma lei ne prende atto, quasi con distacco. Farà sempre a modo suo e non basta dire “sono la segretaria di tutti, non amo i partiti personali”. Provenzano, Boccia, Sarracino, Fornaro non sanno cosa pensa realmente Schlein e sono i più leali, quelli di cui davvero può fidarsi. La segreteria del Pd non si può allargare e c’è chi parla di costituire un governo ombra. Palliativi. Le truppe ci sono, ma non si guida un esercito, parlando di avvio “di discussione programmatica”. Dice Taruffi, un altro che si taglierebbe un braccio per il partito, che “si vince senza dividersi”. Ma si vince anche, come diceva Orlando, senza reticenze. E’ stato Orlando a pronunciare il “non serve pattinare” e Schlein, che deve averlo appuntato, risponde “io non pattino”. A cosa serve discutere di aree interne se si scopre che l’unica connessione garantita è quella del diavolo Musk? Per Schlein è bene la “discussione ma non l’autoreferenzialità”. Con franchezza, le andrebbe detto: tifano lei ma solo per non guardare l’Italia con Meloni al Quirinale. Schlein esce vittoriosa, ma sicuri? Ha il Correntissimo e anche Bonaccini farà parte della maggioranza Schlein ma non è lei il comandante. Si lasci aiutare. A Montepulciano hanno eletto il loro Ferruccio Parri. Non è Schlein, è Mattarella.