Ansa
L'intervista
L'altra Lega di Stefani. Una nuova destra è possibile
"Ho vinto perché ho parlato di come vedo la società nel 2050 e perché durante la campagna elettorale mi sono rifiutato di scatenare attacchi ad personam". Immigrazione senza xenofobia, europeismo, innovazione. “Kyiv? Da sostenere fino a una pace giusta”. Intervista al nuovo governatore del Veneto
Sorpresa. Stupore. Sogno o son dest(r)o? C’è un leghista che studia, compulsa i dossier, cita cifre a raffica, rifiuta la polemica, non parla per slogan e, pur dicendo quello che pensa, pensa quello che dice. Moderato, pragmatico e nemmeno post ideologico perché l’ideologia, si direbbe, non l’ha mai praticata. Le sue dichiarazioni non somigliano per nulla quelle di pallina69 o di patriotarrabbiato che sui social inveiscono contro piddioti, komunisti e grullini rilanciando le parole d’ordine della bestia già salviniana e oggi, semmai, più meloniana. Insomma, avete presente Vannacci? Ecco, il contrario. In più è giovane, votatissimo e, cosa che non guasta nel caso dell’elettorato femminile e di quello gay eventualmente destrorso (pare che esista), anche belloccio. Con una sfumatura un po’ deamicisiana: è sensibilissimo ai problemi degli anziani, che infatti è stato il primo argomento che ha affrontato con l’intervistatore. E tutti i giornali hanno raccontato del suo lutto per la morte dell’amatissima nonna subito dopo l’elezione, cui l’aveva dedicata, e che dal canto suo aveva fatto in tempo a votarlo.
Ecco a voi Alberto Stefani, 33 anni, nuovo presidente del Veneto felix nell’impegnativo ruolo di successore del doge ottimo massimo Luca Zaia, impedito di terzo mandato per gli intrighi romani ma tuttora recordman di preferenze e reverenze: ma si sa, dove c’è Zaia c’è gioia. E allora forse, accanto alla tradizionale via veneta al leghismo, già di suo meno iperbolica ed esclamativa ma più radicata e concreta di quella lombarda, riciccia forse l’ipotesi di una destra non troppo a destra, raziocinante e dialogante, non putiniana né trumpesca, insomma potabile (che forse per il Veneto è anche l’aggettivo giusto). “Cosa rara”, avrebbe detto l’abate Da Ponte, del resto nativo di Vittorio Veneto quindi compaesano. Chissà. Intanto potete farvene un’idea. Unica avvertenza: i congiuntivi sono quelli originali, giusti in partenza, non corretti come capita di solito con i politici. Del resto, il giovin governatore, dopo la laurea in Legge (110 e lode, of course, e a Padova dove non le regalano), i due mandati come sindaco di Borgoricco, provincia sempre di Padova, i due da deputato e la nomina a vicesegretario della Lega, dal ’24, si sta togliendo lo sfizio di prendersi pure il dottorato.
Ed è un dottorato che non t’aspetti: diritto canonico. Cominciamo da lì. Perché? “Perché mi affascina. E’ la materia nella quale mi sono anche laureato e riflette una visione trascendentale della realtà che si riflette nel diritto. Bellissimo”. Però se gli chiediamo se, sul parto di un credibile campo largo, Elly Schlein soffra di impotentia coeundi oppure generandi si rifiuta di rispondere, dato che il brillante giovanotto ha una consolidata riluttanza, assai poco leghista, a parlare male di chicchessia. Torniamo sulle generali, allora. Com’è, diventare governatore di una delle regioni più importanti del Paese a 33 anni, e tralasciamo paragoni impegnativi con gli altri che a quell’età avevano già fatto cose (ma anche finito), tipo Alessandro Magno o Gesù Cristo… “Per cominciare, una grande emozione, che si somma anche al senso di responsabilità. Il Veneto è straordinario, e straordinario è stato anche il mio predecessore. Governerò in continuità con la sua amministrazione. Guardando al futuro, però…”. Lo dicono tutti, presidente. “Sì, ma per futuro intendo i prossimi venti o trent’anni, e temi che non sono di proprietà di una sola parte politica”. “Vaste programme”, avrebbe detto il général De Gaulle… “La politica non è guardare a oggi o a domani e nemmeno a dopodomani. Sa a chi è piaciuto di più il fatto che parlassi di come vedo la società nel 2050? A chi oggi di anni ne ha venti, ed è logico perché è il più interessato. Ho vinto anche per questo. E perché per tutta la campagna elettorale mi sono sempre rifiutato di scatenare attacchi ad personam, di non rispondere alle provocazioni e di non fare polemiche. E questa scelta ai veneti è molto piaciuta. Sarà che siamo un popolo che vuole concretezza, pragmatismo, progetti e non polemiche”.
E allora vediamola, questa società del 2050. Primo problema? “Il trend demografico e l’invecchiamento della popolazione. Dal 2023 al 2043 in Veneto gli over 65 passeranno dal 23 al 34 per cento. Per questo ho impostato un programma sociale e sanitario fatto di potenziamento delle residenze sociali per gli anziani e di nuovi servizi assistenziali. Questo riguarda anche l’urbanistica. Voglio dei quartieri inclusivi, anche nei piccoli comuni che in Veneto sono la maggioranza, dove le Rsa non siamo esterne al tessuto urbano ma una sua parte integrante. Al centro di tutto il mio progetto di governo c’è il sociale, che vuol dire anche servizi per la prima infanzia ed educativi, un piano casa per le giovani coppie, la rigenerazione urbana e la lotta al disagio giovanile”. Tutto bello, però se il Paese si spopola e si svuota non ha forse molto senso insistere sulla remigrazione… “Quello della carenza di mano d’opera è stato un punto centrale della discussione in campagna elettorale”. E qui, di nuovo cifre su cifre. “Entro il 2030 alle imprese venete mancheranno 400 mila lavoratori, di cui 280 mila qualificati. Quindi ci vuole una strategia. Per esempio, integrare gli istituti tecnici e professionali con il mondo del lavoro, uscendo dalla logica della laurea a tutti i costi, e tenendo sempre ben presenti le necessità del mercato”.
Benissimo, ma qui si parla dei disperati che arrivano dal resto del mondo… “E’ il tema dei temi, anche dal punto di vista della coesione sociale. Ma la risposta non può essere l’immigrazione indiscriminata. Quella regolare, con un contratto di lavoro e la prospettiva di sistemarsi e integrarsi, è una ricchezza per il territorio. L’accoglienza per tutti, no. Non per la nostra gente e nemmeno per gli immigrati: ho visitato dei posti dove i richiedenti asilo erano accatastati come dei pacchi. L’immigrazione senza integrazione diventa disintegrazione sociale. E integrazione vuol dire definire delle regole e garantire una prospettiva. Il pacchetto accoglienza non lo si può offrire a tutti. Altrimenti offriamo soltanto illusioni”. Ma se a Palazzo Chigi ci fosse lei, il centro spot in Albania lo chiuderebbe? Sbagliare è umano, ostinarsi meloniano. “E’ una questione diversa, che non riguarda l’immigrazione ma l’espulsione di chi non è in regola. Credo che i risultati si vedranno nel corso del tempo. L’importante è che almeno si provi finalmente ad affrontare un problema che non è mai stato gestito, soltanto subito. Se oggi abbiamo una visione negativa dell’immigrazione, che è un fenomeno mondiale, è perché non è stato gestito, quindi ha prodotto aberrazioni”.
Capitolo successivo. Qui parla il governatore della generazione Z. “La transizione digitale è una sfida di competitività che va vinta attraverso un’alfabetizzazione digitale sempre maggiore. In Veneto la Regione detiene già ventidue reti innovative che funzionano bene. Servono incentivi alle imprese che fanno ricerca e sviluppo e un campus permanente che metta insieme università e start up sul modello di alcuni Paesi nordeuropei, insomma i migliori cervelli in relazione con le migliori imprese”. E l’ecologia, anzi il green come direbbero nella parte lombarda del Lombardo-Veneto? “Io ci tengo e ne parlo, ma in maniera pragmatica, senza ideologismi. Ai problemi devono seguire le soluzioni. Le idee non mancano”. Tipo? “Una spinta alla rigenerazione urbana e un aumento di punteggi per gli enti locali che fanno economia circolare”. Quello del Green deal, specie sul fronte dell’industria automobilistica, è un grande tema di polemica leghista contro l’Europa. “Penso che il Green deal sia frutto di un’ideologia dissennata, un classico caso in cui l’Europa segue delle idee astratte invece di fare gli interessi delle imprese e dei cittadini. Basta andare a parlare con gli imprenditori e le categorie professionali per capirlo”.
Ma insomma, l’Europa è un problema o un’opportunità? “Attualmente, più un problema, o almeno è percepita così. Se riusciamo a farla diventare un’Europa dei popoli e dei territori, tornerà a essere un’opportunità. Vediamo di essere pratici. L’Europa non va demonizzata a priori, ma riformata, sì. Nella consapevolezza che adattare lo stesso abito a persone dal fisico completamente diverso è impossibile. Penso al federalismo fiscale, che si farà non soltanto perché è giusto, ma perché l’Europa lo pone come condizione per erogare la prossima rata del Pnrr. Sulla questione Giorgetti sta facendo un ottimo lavoro”. E qui siamo all’autonomia, già cavallo di battaglia leghista, forse più della Lega originale che di quella nazionalsovranista attuale, che ricorda un po’ l’araba fenice: che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa. Immagino che lei sia favorevole. “Immagina bene, è un dossier che conosco molto bene perché alla Camera sono stato il relatore del progetto di legge. Qualche giorno fa è stata firmata una preintesa importante fra lo Stato e alcune regioni, fra le quali la mia, dopo l’approvazione della legge quadro. E’ un percorso progressivo e graduale, magari lento ma credo irreversibile. E che non può essere disgiunto dal federalismo fiscale, l’altra grande sfida che dobbiamo portare a casa”.
Un po’ di politique politicienne, però, le tocca. Dietro di lei, dall’alto delle sue 203.054 preferenze, si staglia ingombrante Luca Zaia, e nessuno ancora sa che cosa vorrà fare da grande. E’ un problema o un’opportunità? “Luca ha fatto un lavoro straordinario, riconosciuto anche dai cittadini, come si è visto. Per me è un onore che abbia scelto di correre come capolista leghista in tutte le province. Lui e io abbiamo sempre avuto un rapporto molto buono, e questo risultato elettorale è anche figlio della collaborazione negli ultimi anni. Luca lascia un patrimonio politico e amministrativo importante. Però le eredità non basta riceverle, bisogna anche saperle investire. Quel passato deve servire per costruire il futuro”. Lo stesso Zaia è subito andato a fare visita a Sergio Mattarella, personaggio attualmente non in testa alla hit parade delle simpatie del centrodestra, e sui social si è sperticato in elogi. “Non ho visto, che cosa ha detto?” Cito: “Al nostro Presidente ho ribadito tutta la mia profonda gratitudine e sincera ammirazione; Mattarella è un punto di riferimento morale e istituzionale per il Paese, esempio di equilibrio, rigore e servizio alle istituzioni”. Stefani, lei condivide? “Certamente, sono d’accordo, una figura di assoluto rilievo. Aggiungo anche che nel percorso dell’autonomia ha dimostrato una grande apertura”.
E sulla questione di una possibile “doppia” Lega, una nazionale e l’altra nordista, insomma modello Cdu-Csu, la Dc tedesca in due versioni, nazionale e bavarese, che cosa pensa? Si fa o è solo chiacchiericcio politico? “Dico che c’è già. Io sono segretario della Liga veneta, Liga, con la ‘i’, ci chiamiamo anche noi in maniera diversa, da quattro anni: due come commissario e due perché eletto dai militanti. L’autonomia statutaria l’abbiamo, ed è naturale trattandosi di un partito federalista. Quanto all’ipotesi ‘tedesca’, posso solo dire che sarebbe interessante, ma nel quadro di un partito unitario”. Comunque al momento non c’è e non c’è nemmeno la Giunta regionale. Quando arriverà? “Per ora non sono stato proclamato nemmeno io, credo che succederà entro questa settimana. Quando alla Giunta, ci vorrà una decina di giorni”. Conferma lo schema 5+4+1, cioè cinque assessori a Fratelli d’Italia, quattro alla Lega e uno a Forza Italia? “Pacta sunt servanda”. Anche se le elezioni in Veneto per voi sono andate molto meglio di quanto vi aspettavate, o forse temevate, e avete doppiato FdI, 36 per cento contro 18? La tentazione di ridiscutere la spartizione c’è? “Il risultato della Lega è stato davvero importante. E poi il presidente della Regione è leghista”.
A volo d’uccello, qualche altra questioncella nazionale. Droghe leggere: è favorevole o contrario alla liberalizzazione? “Il vero tema è il disagio crescente dei nostri giovani. I ragazzi hanno bisogno di comunità forti, di esperienze, di rapporti autentici. Da amministratore guardo alle soluzioni concrete: prevenzione, sostegno alle famiglie, presidi educativi sul territorio e un’alleanza tra scuola, enti locali e terzo settore. Prima di discutere di modelli legislativi, il dovere della politica è proteggere i giovani e rafforzare i legami sociali”. Si è mai fatto una canna? “Mai”. Sul referendum sulla giustizia, come si schiera? “Naturalmente voterò sì. E farò anche campagna. Poiché il referendum non prevede il quorum, è necessario che si vada a votare”. Passiamo all’Ucraina: va aiutata ancora o abbandonata al suo destino? La Lega pare decisamente filorussa… “Io ho fatto il parlamentare per otto anni e abbiamo sempre votato tutti i pacchetti di aiuti all’Ucraina. Quindi sì, va sostenuta finché non si arrivi a una pace giusta”.
E qui, un’improvvisa constatazione. Stefani, si rende conto? Stiamo chiacchierando da, mi faccia controllare sul telefonino, ecco qui: 32 minuti e 18 secondi e non è ancora stato fatto un certo nome… “Quale?”. Matteo Salvini. Lei sembra decisamente più moderato di lui. “Il commissario che Salvini ha nominato per il Veneto ero io. Ha sempre avuto un atteggiamento collaborativo sul nostro territorio, e le scelte fatte in Veneto anche per l’ultima campagna elettorale sono state condivise e all’insegna dell’unità del partito. E mi sembra che i risultati siano arrivati”. C’è anche un altro nome che non abbiamo citato, quel generale che è vicesegretario della Lega, proprio come lei… E qui il soave Stefani diventa sinteticamente tagliente: “Vannacci? Io sono nella Lega da quando avevo quindici anni. Quindi ho avuto modo di conoscere di più Salvini e Zaia”. A buon intenditor…