l'intervista
Calenda: "Meloni ha cambiato linea su Kyiv. Ora deve scegliere: o Trump o l'Europa"
Il segretario di Azione (che oggi festeggia sei anni) commenta il piano Trump per la pace in Ucraina: "Di fatto è una capitolazione. Per ora, purtroppo, il governo italiano tace e lascia parlare Salvini"
"Giorgia Meloni ha sempre detto che non ci sarebbe stato bisogno di scegliere tra Donald Trump e l'Europa, e invece ecco, adesso questa necessità è arrivata", dice al Foglio Carlo Calenda commentando il silenzio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul piano di pace in 28 punti presentato da Trump a Kyiv e concordato dall'inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff sopra le teste degli ucraini e di Bruxelles. Il segretario di Azione non nasconde la sua preoccupazione: "Il fatto che su una vicenda di questa portata, che prevede di fatto la capitolazione dell'Ucraina, non si sia levata a una voce, se non una flebile risposta di Tajani fa molta impressione. Quel patto poteva scriverlo Putin, e Meloni cosa dice?". Intanto il vicepremier leghista Salvini - che già si sfrega le mani dicendo "non serviranno più armi - chiede che siano gli ucraini a scegliere se accettare o meno il piano, e non Bruxelles o Berlino. "Non c'è dubbio che debbano essere loro a decidere, ma questo piano è una resa e non penso sia quello che gli ucraini vogliono". Cosa si aspetta dall'intervento della premier? "Io intanto auspico che dica qualcosa, allo stesso tempo però colgo anche che è impossibile negare che nel suo atteggiamento verso l'Ucraina ci sono stati negli ultimi tempi dei grandi cambiamenti. L'Italia non parteciperà all'acquisto di aiuti militari americani per Kyiv, il famoso Purl, e lei anche sulla nuova autorizzazione per l'invio di armi ancora non ha detto nulla. Più in generale cerca in ogni modo di non esprimersi più sulla questione ucraina. Spero di sbagliarmi, ma la sensazione è che si stia riposizionando. Devo dire che non sono convinto che Forza Italia possa accettare silenziosamente che la linea Salvini diventi egemone dentro al governo".
Qualcuno però potrebbe anche obiettare che il piano in 28 punti di Trump, pur passando sopra la testa di europei e ucraini, è comunque l'occasione per arrivare finalmente alla pace. In fondo consente l'ingresso ucraino nella Ue, non la demilitarizza del tutto..."Non c'è la demilitarizzazione ma c'è il dimezzamento dell'esercito", ci interrompe Calenda. "E anche il bando di alcune tipologie di armi e l'assenza totale di truppe Nato in Ucraina. Di fatto si mettono gli ucraini alla totale mercè dei russi. Non solo. Quel pezzo di Donbass che Putin non ha conquistato sul terreno gli verrebbe regalato. E sorvolo sui canoni che Kyiv dovrebbe pagare agli Usa per la sua sicurezza, praticamente un'estorsione... la verità è che questo piano è una capitolazione assoluta, anche perché oggi, con Trump alla Casa bianca, nessuno al mondo può fidarsi di una garanzia americana". E però così si arriverebbe finalmente alla pace, no? "All'opinione pubblica - risponde Calenda - bisogna spiegare che nel momento in cui noi davanti a una guerra di aggressione russa decidiamo di dare all'aggressore più di quello che l'aggressore ha ricevuto mettiamo le basi per la prossima aggressione, questo è quello che è successo a Monaco nel 1938 e noi stiamo firmando una nuova Monaco.
Oggi Merz, Starmer e Macron hanno sottosentito Zelensky, Meloni no, la premier ha sentito solo più tardi il cancelliere tedesco, confermando che domani, a margine della riunione del G20, ci sarà un incontro tra leader europei per presentare una controproposta. Calenda, lei cosa si aspetta? "Ecco, quando domani l'Europa, che è comunque mediamente fatta da primi ministri molto pavidi con Trump, dovrà prendere una posizione chiara Meloni non potrà più nascondersi. Purtroppo quando è un populista a guidare il paese la nave Italia va dove gira il vento, e il mio timore dunque è che in questo momento vada lontana da quello che serve all'Ucraina"
Intanto oggi Azione celebra il suo sesto compleanno, non proprio una giornata eccezionale per festeggiaree: "Purtroppo no, anche se devo dire che dal punto di vista interno internazionale mi aspettavo situazioni molto difficili che si andavano già delineando sei anni fa. Sono stati proprio questi scenari a convincermi della necessità di fondare un partito e di non aderire a quello che era il Conte II: io ero nel PD, quindi già impegnato in politica, ma non potevo far finta di niente, mettermi sulla posizione di alcuni riformisti dem come Gentiloni. Bisognava fare questa battaglia contro il bi-populismo che rischia di lasciare il paese in macerie. Alla fine, mi sono anche molto divertito, e per fortuna non ho alcun ripensamento sulla scelta di aver fondato Azione".