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il processo
Il ritorno della “lobby ebraica”. Come è stata sdoganata persino in tv un'espressione accusatoria che rimanda ai “Savi di Sion”
Furio Colombo si domandava perchè un'accusa simile fosse riemersa e la risposta era ampiamente illustrata nel romanzo "Il Cimitero di Praga" di Umberto Eco: una presunzione di potenza di ciò che è ebraico
"Complotto sionista” suona troppo rétro, è lo slogan di Stalin ai tempi dei processi agli ebrei; “Savi di Sion” non si porta più, anche se l’immagine vaga nelle menti obnubilate, come quella del comico che urla “l’antisemitismo lo fanno loro”. Invece “lobby ebraica”, vuoi mettere? Fa persino debat americano, dove però almeno nasce in senso tecnico. Qui da noi, dove le lobby sono sinonimo di male assoluto, anche quella dei farmacisti, “lobby ebraica” è un’espressione “che vuol dire più potenza, meno luce e una speciale capacità di intrigo che gli altri non hanno”. Come scriveva Furio Colombo già tre lustri fa. L’espressione di spregio, pregiudizio e condanna che fino a qualche tempo fa si aveva pudore a dire a voce alta oggi si esibisce in società, come una coccarda, la si dice in tivù. La può usare Alessandro Orsini, “Meloni lavora per la lobby israeliana”. Tempo addietro era stato Alberto Negri, scrittore per il manifesto, a usarla come capo d’accusa a “Piazzapulita”: “La questione enorme di cui si dibatte da sempre della lobby ebraica che non è solo fortissima negli Stati Uniti ma anche in Europa e anche in Italia” disse. Nessun contraddittorio a un’accusa così grave, al profumo di antisemitismo (pardon, antisionismo).
La cosa notevole è che, solo nel 2021, sul Manifesto di Negri ancora si potevano leggere pesanti critiche (e giustissime) al candidato meloniano Enrico Michetti propugnatore della “storiella dal sapore antisemita che racconta la Shoah come più visibile di altri ignobili genocidi per il potere della cosiddetta ‘lobby ebraica’”. Adesso Negri usa la stessa locuzione da Formigli e non fa più scandalo, anzi. E’ persino pop, anche Roger Waters può lagnarsi: “La lobby israeliana ha cancellato la mia nuova produzione a Las Vegas”. Avevano del tempo libero, si vede. Del resto Albanese ripeteva “l’America è soggiogata dalla lobby ebraica” già nel 2014, in un famigerato post in cui esaltava “i miliziani di Hamas che resistono”. Cos’è cambiato, perché l’espressione sia stata sdoganata nel linguaggio corrente come nuova accusa del sangue? Lo scorso anno Pierluigi Battista nel suo podcast aveva fatto le pulci a un libro di due collaboratori della Civiltà cattolica, Giovanni Sale e David Neuhaus, “Israele e Palestina. Un conflitto senza fine?”, in cui si sosteneva, ancora, che nel riconoscimento di Israele fu fondamentale il peso dei sionisti su Truman, “che aveva bisogno dei voti e dei soldi degli ebrei” che avevano saputo “sfruttare il senso di colpa della Shoah”.
Le stesse tesi di Albanese nel post del 2014. Ma il rilancio dell’accusa nasce prima del suo scadimento nel linguaggio comune. Vent’anni fa, 2006, un saggio di John Mearsheimer della University of Chicago e Stephen Walt di Harvard intitolato “La lobby israeliana e la politica estera degli Stati uniti” aveva creato polemiche, la tesi era che non vi fossero motivi di sostegno americano a Israele se non per influenze, appunto, non trasparenti: “L’ineguagliato potere della lobby israeliana”. E’ in uscita da Ponte alle Grazie un corposo libro di Ferruccio Pinotti, specialista in questo genere di inchieste, si intitola sic et simpliciter “La lobby ebraica”. Vero che Pinotti ha scritto anche “La lobby di Dio” o “Poteri forti”, ma lobby riferito alla totalità dell’influenza dell’ebraismo a livello mondiale ha un significato diverso. Ci sarà tempo di leggere Pinotti, e del resto la presentazione si cura di essere prudente: “Non ne emerge un complotto né un potere monolitico”, si legge.
Si tratta di “una confraternita non segreta ma discreta, che esercita un influsso spesso decisivo senza mai ostentare il proprio potere”. Ma dopo un completo excursus storico, una lunga parte del libro riguarda “media, controllo e penetrazione occulta” di Israele, si scrive che “il mainstream statunitense è sovente oggetto dell’influenza di lobby pro Israele” e che “il governo israeliano riveste un ruolo estremamente peculiare e poco noto nel plasmare la percezione internazionale delle proprie politiche interne ed estere”. Vale anche per l’Italia, dove “il vero motore della copertura filoisraeliana – giornalisticamente trasversale – è, in realtà, più sottile. E’ un sistema di alleanze trasversali che plasmano il racconto ancor prima che venga scritto”. Da approfondire. Qui ci si limita a registrare che l’espressione è tornata di moda, come traslato di Savi di Sion. E’ lecito attaccare Vannacci se minimizza le leggi razziali, ma quando si mettono a tacere i docenti in quanto espressioni della “lobby ebraica”, tutto va bene. Si domandava Furio Colombo perché fosse riemersa l’accusa di lobby ebraica, e si rispondeva: “C’è purtroppo una sola risposta, che – del resto – è ampiamente illustrata nell’ultimo romanzo di Umberto Eco, ‘Il Cimitero di Praga’. La risposta è una presunzione di potenza di ciò che è ebraico… Più potenza, meno luce e una speciale capacità di intrigo”.