(foto Ansa)
Il Sì logorroico
Dal Ponte sullo Stretto alla “vittoria di Silvio”, il referendum sulla giustizia si trasforma in un varietà
Quando i sondaggi diranno che l’Italia è divisa, partiranno gli appelli a non politicizzare il referendum. Ma sarà tardi. Perché a personalizzarlo, a trasformarlo in un processo al passato e a un viadotto che non c’è, non è stata la sinistra bensì molti di coloro che difendono questa riforma
“La vera opposizione, stavolta, non è quella del ‘No’ al referendum sulla separazione delle carriere: è quella del ‘Sì’ che parla troppo. Il problema, insomma, siamo noi”. Il ministro – anonimo, ci perdonerete – lo dice a cena, e ci consegna (non perché abbia bevuto troppo) un paradosso che mantiene per strada tutta la sua carica di ironia: “Nelle ultime settimane la riforma, che dovrebbe parlare di giudici e pubblici ministeri, è diventata un 3x2. Giustizia, Ponte sullo Stretto e santino di Silvio Berlusconi in omaggio. Se continuiamo a straparlare così, trasformandolo in quello che non è, finisce che lo perdiamo il referendum”.
La separazione delle carriere, nata come questione tecnica sull’equilibrio tra accusa e difesa, dice il ministro, rischia di arrivare al voto come un questionario multiplo: “Sì” se credi al Ponte, “Sì” se ami Silvio, “Sì” se pensi che i giudici ce l’abbiano con il governo… “e speriamo che non arrivino altri dichiaratori”. Matteo Salvini, per esempio, ha spiegato che non vuole pensare che qualcuno alla Corte dei conti “abbia bocciato il Ponte per vendicarsi contro siciliani e calabresi per una riforma approvata dal Parlamento”. Cioè: non solo il Ponte è un’opera epocale, ma sarebbe pure ostaggio di un complotto giudiziario antiseparazione delle carriere. Manca solo il plastico. Antonio Tajani, dal canto suo, ha presentato la riforma come “la giustizia che voleva Berlusconi”, “il sogno di Berlusconi” finalmente realizzato. Poi è arrivata Marina, che parla di “vittoria di papà”, e Marta Fascina, che la benedice come “ultima vittoria di Silvio”. A forza di insistere, più che un referendum costituzionale, la separazione delle carriere sembra una messa di suffragio con l’urna incorporata.
In mezzo a questo coro, ogni tanto qualcuno – come il nostro ministro anonimo – invita a evitare “voli pindarici” fra Ponte, Silvio e giustizia, ma viene coperto dal rombo delle grandi opere e dei grandi risentimenti. Poi, quando i sondaggi diranno che l’Italia è divisa, partiranno gli appelli a non politicizzare il referendum. Ma sarà tardi. Perché a personalizzarlo, a trasformarlo in un processo al passato e a un viadotto che non c’è, non è stata la sinistra. Sono stati proprio quelli che, ogni sera, ripetono: “Il pericolo sono i giudici”. Senza accorgersi che, stavolta, il pericolo sono loro.