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L'editoriale del direttore
Contro i pieni poteri dei pm. Ragioni per un sì convinto alla riforma della giustizia
Giudici con più indipendenza, magistratura meno politicizzata, democrazia più tutelata, Costituzione più rispettata. Si può dire di no? Come ribaltare le tesi più serie dei nemici della separazione dei poteri e del sorteggio al Csm
Gli avversari più acerrimi della riforma della giustizia, riforma che come sapete prevede la separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice, l’indebolimento delle correnti attraverso il sorteggio dei membri del Csm e l’introduzione di un’alta corte cui è attribuita in via esclusiva la giurisdizione disciplinare tanto nei confronti dei magistrati giudicanti quanto dei magistrati requirenti, sostengono da mesi tre tesi precise per provare a dimostrare che il testo approvato ieri in via definitiva al Senato sia un pericolo per il futuro del nostro paese. Tre punti, tre idee, tre battaglie. Tesi numero uno, secca: la riforma della giustizia è una grave minaccia per la nostra democrazia. Tesi numero due, dirompente: la riforma della giustizia è uno stravolgimento inaccettabile della Costituzione. Tesi numero tre, devastante: la riforma della giustizia ha come fine ultimo quello di indebolire il potere giudiziario per permettere a chi governa di avere a disposizione i fascistissimi pieni poteri. Se scegliessimo di mettere da parte per un istante le ragioni strumentali che muovono buona parte dell’opposizione contro la riforma Nordio e Meloni (colpire il governo, quando si dice entrare nel merito delle cose) potremmo tentare di spiegare la bontà della riforma della giustizia partendo proprio dagli argomenti principali dei suoi detrattori. E attraverso questi argomenti non è difficile dire che se i nemici di Meloni e Nordio avessero davvero così a cuore (a) la difesa della democrazia, (b) la tutela della Costituzione, (c) la lotta contro i pieni poteri dovrebbero cambiare urgentemente idea e sostenere senza indugi e con coraggio proprio la riforma della giustizia che hanno iniziato a combattere.
Un paradosso? Mica tanto. Partiamo dalla prima tesi: la minaccia alla democrazia. Se si sceglie di spostare appena di un centimetro dagli occhi le fette di prosciutto che ostruiscono la visuale sul mondo, ai professionisti della gnagnera, detto con il massimo rispetto, si potrà far notare un dettaglio forse sfuggito. Negli ultimi vent’anni, anche i più distratti avranno avuto l’occasione di notare che l’Italia ha dovuto fare i conti, in diverse occasioni, con un’emergenza democratica vera, che ha portato il nostro paese ad accettare senza fiatare il consolidamento di una Costituzione immateriale fondata non più sul lavoro ma sullo strapotere delle procure. Anche qui, se non si vuole negare la realtà, non si dovrebbe far fatica ad ammettere che una Repubblica in cui si possono celebrare processi senza prove, in cui vi sono inchieste costruite sulla base dei teoremi, in cui un indagato diventa colpevole fino a sentenza definitiva, in cui l’imbarbarimento giudiziario ha messo più volte a rischio il funzionamento della democrazia, avere a disposizione una riforma che permetta di indebolire le correnti politicizzate della magistratura può essere un incentivo per avere magistrati meno tentati di costruire carriere veloci facendo leva sull’appartenenza politica e dunque sull’ideologia. E un sistema che metta un po’ più al riparo gli eletti dalle esondazioni della magistratura è indubbiamente un sistema che tutela, oltre che gli eletti, anche gli elettori, e dunque la democrazia.
Il secondo capo di imputazione mosso dagli avversari della riforma riguarda la presunta aggressione della legge alla Costituzione. Si potrebbe chiedere ai difensori della Costituzione più bella del mondo così preoccupati per la possibile aggressione alla Costituzione via riforma della giustizia in quale corso di judo sono stati trattenuti in questi anni, in tutte le occasioni in cui i magistrati politicizzati e i loro giornalisti velinari al guinzaglio hanno sputacchiato sulla Costituzione calpestando l’articolo 27 e l’articolo 111 della Carta (ogni indagato è innocente fino a prova contraria e ogni imputato ha diritto a una durata ragionevole del processo). Ma forse, senza fare i saputelli, è sufficiente provare a spiegare ai nemici della riforma, così preoccupati per gli effetti della riforma sulla Costituzione (oggi niente judo), che la riforma della giustizia non è affatto un pericolo per la Costituzione perché separando le carriere si rafforza la terzietà del giudice e si ottempera così proprio a un articolo della Carta che i difensori della Costituzione più bella del mondo spesso si dimenticano di citare. Parliamo, naturalmente, dell’articolo 111, secondo cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. E dunque: se alle vestali della Carta sta così a cuore la terzietà del giudice, dovrebbero senza indugi elogiare una riforma che, separando le carriere, tutela ancora più di oggi la terzietà del giudice.
Il terzo argomento, quello destinato a diventare più virale, è quello secondo cui la riforma della giustizia renderebbe il potere giudiziario molto più debole e il potere esecutivo molto più forte. Avete presente (vai con l’hashtag) i pieni poteri? Ecco. Se l’attenzione degli avversari sul tema dei pieni poteri (vai con l’hashtag) è davvero genuina, e non ci sono motivi per non crederlo, bisognerebbe forse riconoscere che non solo la riforma non dà alla politica alcun potere in più sull’operato dei magistrati ma che al contrario interviene per porre un piccolo, anche se non esaustivo, argine all’unico vero pieno potere che esiste in Italia: quello dei pubblici ministeri. Può essere che anche su questi temi i critici della riforma fossero impegnati in una lezione di judo. Ma in ogni caso non dovrebbe forse sfuggire che in un paese in cui i pm possono far arrestare un cittadino senza prove, in un paese in cui i pm possono decidere i destini di un ministro sulla base di sospetti, in un paese in cui i pm possono mandare in galera innocenti senza essere puniti, in un paese in cui i magistrati possono utilizzare il proprio ruolo per definire non solo ciò che è reato da ciò che non lo è ma anche ciò che è morale da ciò che non lo è. Ecco, in un paese in cui succede tutto questo, e tutto questo succede ogni giorno, delimitare i poteri nella magistratura, renderli reciprocamente responsabili e dare più garanzie al cittadino di avere un giudice più terzo e più imparziale offrendo criteri di valutazione più trasparenti sull’operato dei magistrati può limitare le esondazioni, le spettacolarizzazioni, le gogne e le irresponsabilità dei pm, può dunque limitare i pieni poteri dell’unico soggetto dello stato che ne è davvero dotato, a meno che naturalmente non si voglia sostenere che l’unico modo per garantire ai pm maggiore indipendenza sia quello di garantire loro maggiore irresponsabilità. Ci sarebbero molti spunti di riflessione che si potrebbero aggiungere a questi che vi abbiamo appena offerto, per spiegare perché la riforma della giustizia, aiutando a superare lo status quo, aiuta a superare una giustizia che spesso, agli occhi dei cittadini, è un veicolo più di ingiustizia che di giustizia. Ma al fondo la questione è molto più semplice. Per chi pensa che l’Italia abbia il diritto ad avere correnti con meno poteri, giudici con più indipendenza, una magistratura meno politicizzata, una democrazia più tutelata, una Costituzione più rispettata, combattere i nemici della riforma è l’unico modo per essere coerenti con le proprie idee e per difendere dalle menzogne, dalla gnagnera, dagli impostori del diritto ciò che si ha più a cuore: semplicemente, la famosa Costituzione più bella del mondo.
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