Ansa

L'editoriale del direttore

Lezioni che arrivano da sinistra contro la sinistra ossessionata dai soliti fascismi immaginari 

Claudio Cerasa

All'armi, non siamo fascisti! Negli ultimi giorni sono emerse alcune voci non convenzionali che hanno provato a rompere il muro della menzogna sui rischi democratici che correrebbe l’Italia: abusare degli allarmi democratici è il modo peggiore per svilire battaglie sacre

All’armi, non siam fascisti! Nel dibattito pubblico italiano capita spesso di fare i conti con false verità che, diventando virali, si trasformano magicamente in fatti reali, pur essendo in verità l’esatto opposto, ovvero fatti del tutto non reali. Una delle false verità più diffuse, soprattutto nel campo progressista, è una falsa verità che riguarda un’espressione purtroppo molto abusata, utilizzata per delegittimare la cosiddetta parte avversa. Un’espressione molto abusata che di solito, quando viene utilizzata, segnala un elemento di debolezza più in chi la suggerisce che in chi la riceve: deriva democratica. La deriva democratica, poi, in un lampo, diventa pulsione autoritaria. E la pulsione autoritaria, a sua volta, nello spazio di un clic, diventa automaticamente “rischio fascismo”. E quando una parte politica, in modo arbitrario, abusando dei termini, e dunque svilendoli, definisce l’altra parte come un veicolo di antidemocrazia, di autocrazia, di fascismo, gli equilibri saltano, la logica si perde, le menzogne si diffondono e trovare dunque qualcuno in grado, da sinistra, di smontare queste sciocchezze diventa difficile, perché sfidare la narrazione anti fascista, secondo l’algoritmo dell’indignato collettivo, diventa un modo per essere collaborazionisti del nuovo fascismo.

 

Negli ultimi due giorni, però, è successo che proprio da sinistra, da interlocutori diversi, con toni diversi e con argomenti diversi, sono emerse alcune voci non convenzionali, e non scontate, che hanno provato a rompere il muro della menzogna, sui rischi democratici che correrebbe l’Italia. Il primo caso, il caso forse più interessante, è quello che si è manifestato due sere fa su La7, a “Otto e Mezzo”, dove Romano Prodi, incalzato da Lilli Gruber, ha detto, provocando svenimenti di fronte ai propri interlocutori, che no, non è vero, in Italia non vi è alcuna deriva antidemocratica e se la sinistra vuole provare a vincere le prossime elezioni piuttosto che parlare di un rischio autocratico nel nostro paese farebbe bene a trovare un modo per diventare quello che oggi non è: un’alternativa credibile. Poche ore dopo, un ex ministro di Romano Prodi, Antonio Di Pietro, ha consegnato al Riformista un pensiero già anticipato mesi fa a questo giornale, a Salvatore Merlo: votare a favore della separazione delle carriere, come farà Di Pietro, non significa andare a indebolire la nostra Costituzione, e dunque la nostra democrazia, ma significa ottemperare a quello che è un principio cardine del nostro ordine costituzionale, che prevede, articolo 111 della Costituzione, che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. Il terzo squarcio di verità su una realtà che in queste ore in troppi si rifiutano di vedere è quello offerto ieri su Repubblica da Luigi Manconi, che con coraggio è intervenuto sulla disputa tra il Garante per la privacy e “Report”, spiegando che, con tutto il rispetto che è giusto avere per una trasmissione importante e un giornalista che ha rischiato la vita con un attentato, non si può trasformare la libertà di stampa in libertà di sputtanamento.

 

L’oggetto del contendere, in questo caso,  è una registrazione illegale di un audio della moglie dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano. Spiega Manconi che non si può trasformare il diritto di cronaca in diritto di violare la Costituzione aggredendo la privacy in modo non responsabile, perché “la valutazione della indispensabilità e essenzialità della diffusione di conversazioni private deve essere ancora più rigorosa dal momento che vi sono coinvolti dati personali che esigono una tutela rafforzata, e proprio perché relativi al diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni come previsto dall’articolo 15 della Costituzione”. Sempre su Repubblica, ieri, con classe, ne parla anche oggi Luciano Capone, il professor Guido Tabellini ha rimesso a posto il segretario della Cgil Maurizio Landini, il quale non si limita a descrivere il governo come antidemocratico e anche genocida, sono parole di Landini, non di Crozza, ma si spinge anche a diffondere da mesi false verità sulla mancata compensazione del governo del fiscal drag, e Tabellini, come scrive il Foglio da mesi, dice che non è vero, dice che è una bufala e che quella compensazione c’è stata. Ma la parola forse più forte, e più saggia, utilizzata in queste ore dal mondo progressista per ristabilire gli equilibri in campo, quando si parla di difesa della democrazia, è quella netta e chiara utilizzata da Emanuele Fiano per inquadrare l’aggressione ricevuta due giorni fa a Ca’ Foscari, dove alcuni studenti autodefinitisi pro Pal e antisionisti gli hanno impedito di parlare nel corso di un convegno Fiano ha detto che quell’estremismo non è un estremismo generale ma come tutti gli estremismi la cui finalità è quella di cancellare il pensiero altrui quell’estremismo anche se arriva dai teorici esagitati di sinistra altro non è che fascismo in purezza.

 

 

Forse, a ben vedere, avrebbe potuto semplicemente dire che quello dei pro Pal estremisti potrebbe essere definito anche, semplicemente, comunismo in purezza, ma poco cambia. Quando nel dibattito pubblico, viziato da tonnellate di menzogne, qualcuno con coraggio dice, da sinistra, alla sua sinistra che abusare degli allarmi democratici è il modo peggiore per svilire battaglie sacre, quelle a favore della democrazia, solo per nascondere la propria incapacità a fare politica, non si può che essere felici di fronte a queste improvvise e necessarie immersioni in un bagno chiamato realtà. All’armi, non siam fascisti!

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.