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il federatore sono io

La piazza per Ranucci diventa la scena del nuovo Conte, leader del centrosinistra. Mistero Schlein

Salvatore Merlo

Schlein va in Olanda a dire che in Italia c’è la dittatura, Conte organizza una manifestazione per la libertà di stampa a cui aderiscono tutti e si guarda bene dall’accusare il governo di aver messo bombe sotto l’auto di Ranucci. Schlein si radicalizza, esagera, Conte si modera

Per dirla con Quasimodo, Giuseppe Conte sta nel cuore di Piazza Santi Apostoli – trafitto da un raggio di sole – ed è subito federatore. E’ moderato, istituzionale, ha ritrovato la pochette, e ha ragione Marco Travaglio quando dice “questa piazza mi ricorda quelle contro il riarmo, mi ricorda i girotondi” che furono l’inizio di quel cammino che portò alla vittoria dell’Unione nel 2006. Elly Schlein va in Olanda a dire che in Italia c’è la dittatura, Conte organizza una manifestazione per la libertà di stampa a cui aderiscono tutti e si guarda bene dall’accusare il governo di aver messo bombe sotto l’auto di Sigfrido Ranucci. Così qualcuno fa lo spiritoso: “Il Pd sta diventando il Movimento 5 stelle, e il M5s diventa il Pd”.

 

Goffredo Bettini spiega agli amici: “E’ una strategia a tavolino quella di Conte”. E può funzionare. Chissà. Il vecchio stratega della sinistra, il Monaco, Bettini appunto, lascia intendere di averne discusso proprio con Conte. Schlein si radicalizza, esagera, mentre Conte si modera: è tiepido sulla Libia e sull’immigrazione, due battaglie che il Pd intende combattere, e prova quasi intima soddisfazione nell’essere accusato di “democristianeria” da Chiara Appendino. Si presenta come l’uomo che mette tutti insieme. Lui sì, Elly no. E a guardarlo in piazza, lì dove il centrosinistra si fa spiegare da Travaglio chi sono i giornalisti liberi e quali invece non lo sono, Conte è ben calato nel ruolo.

 

Alle 17 e 30 arriva per primo alla manifestazione che lui stesso ha organizzato per esprimere solidarietà a Ranucci, lascia le due automobili di scorta con i lampeggianti accesi e fa gli ultimi cinquanta metri a piedi verso la piccola piazza, non del tutto piena ma vivace. “Conte premier”, gli urlano. E lui fa una lenta rotazione della testa, come di bambola, sorride. Ha lo sguardo di chi entra in piazza come in una cattedrale di consenso. Intorno a lui il solito corteo di fedeli gentili, tra cui Michele Gubitosa (“Conte premier? Magari”), che si muovono a onde lente come le suore dietro il Santissimo.

 

Un attimo prima che si accenda il microfono, un ragazzo dello staff gli sistema il colletto. Conte annuisce, come un chirurgo prima dell’intervento: “Senza bandiere, mi raccomando”. Il leader di tutti non vuole bandiere di parte. E allora finalmente sale sul palco. “Ringrazio le delegazioni del Pd, di Avs e di +Europa”, dice, dimenticando, ma nulla forse è mai per caso, la segretaria del Pd, Schlein, che arriva un po’ in ritardo e resta in disparte al punto che nessuno la vede e la sua presenza resta un mistero buffo. “E’ in modalità saluto”, dice il senatore del Pd Filippo Sensi che è in piazza con l’onorevole Andrea Martella e il tesoriere del partito Michele Fina. Conte e Schlein, dunque. In piazza li separano pochi metri e un oceano di intenzioni.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.