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L'editoriale del direttore
Cosa può fare la sinistra per combattere i finti partigiani della libertà
Come diavolo ha fatto la sinistra a regalare a una oscena destra illiberale la battaglia per il free speech? Andare oltre il “Bella ciao” sui proiettili che hanno colpito Kirk per capire cos’è oggi il fascismo dell’antifascismo
La notizia che farà più scalpore in Italia, rispetto all’arresto dell’uomo accusato di aver ucciso con un colpo di fucile Charlie Kirk, è quello slogan inciso sul proiettile usato per freddare il famoso attivista conservatore americano, morto due giorni fa in diretta streaming: “Bella ciao, bella ciao ciao ciao”. Per i professionisti della zizzania permanente, del complottismo perpetuo, della violenza verbale, quello slogan, unito alle altre parole incise sulle altre pallottole – “fascista beccati questa” – non può che essere il simbolo di un fatto preciso: la sinistra, quando attacca la destra, è violenta, è liberticida, e la violenza delle parole a volte può trasformarsi in un fatto. Chi oggi crea simmetrie tra la violenza delle parole e la violenza delle azioni, ricercando un’ideologia che avrebbe caricato il fucile dell’uomo che ha ucciso Charlie Kirk, avrebbe dovuto compiere la stessa operazione in altre occasioni, ben più complicate da gestire per chi cerca di elaborare equazioni spericolate. Avrebbe dovuto farlo nel 2019, quando in Nuova Zelanda, in due moschee, vennero uccisi 49 musulmani con fucili sui cui caricatori era inciso il nome di Luca Traini, ex candidato della Lega, autore di una strage razzista a Macerata nel 2018. E avrebbe dovuto farlo nel 2022 quando, dopo la strage razzista di Buffalo, venne trovato su internet un manifesto politico dell’autore in cui era esposta una teoria cara all’estrema destra: la “grande sostituzione”. Contrastare pulsioni violente alimentando il dibattito con argomenti destinati a far crescere la violenza non è una strategia lungimirante. Ma le parole scelte dall’omicida di Kirk dovrebbero spingere a una riflessione diversa: cosa vuol dire oggi essere, a sinistra, dei finti partigiani della libertà? I finti partigiani della libertà, su una scala massima della follia, sono ovviamente gli attivisti che premono il grilletto e coloro che minimizzano quel gesto. Ma i finti partigiani della libertà, su una scala naturalmente diversa, sono anche coloro che senza rendersene conto stanno dando nuovamente lustro a quello che Marco Pannella (e prima di lui Pasolini) definì anni fa in modo formidabile: il “fascismo degli antifascisti”.
La destra estremista in cui si riconosce Trump, e in cui si riconosceva Charlie, non è una destra amica della libertà, perché, come da formidabile definizione di Timothy Snyder, è una destra che si rifà più al “me speech” che al “free speech”: dove per “me speech” si intende una libertà deformata, complottista, che invoca la libertà di parola solo per se stessa, trasformandola in uno strumento di censura e delegittimazione sistematica di chi dissente, naturalmente in nome del free speech (la libertà è da difendere solo se è una libertà compatibile con la parola destra, solo se piace a me: me speech). Ma ciò che colpisce nella fase storica che stiamo vivendo è che le moltitudini di finti partigiani che da sinistra fingono di difendere la libertà hanno regalato alla destra, anche la più estrema, la possibilità di trasformarsi in un argine contro le limitazioni del free speech. I finti partigiani della libertà, a sinistra, sono quelli che trasformano ogni amico di Israele in un genocidario, ogni appello contro l’antisemitismo in un’arma di distrazione da Gaza. Sono quelli che vogliono riscrivere la storia cancellando libri, rimuovendo statue, modificando canzoni, ritoccando film. Sono quelli che vogliono limitare il dibattito universitario solo a chi non si discosta dall’algoritmo progressista. Sono quelli che trasformano ogni seduzione in molestia. Sono quelli secondo cui ogni discussione sull’immigrazione è una testimonianza di razzismo. Sono gli stessi che, su scale diverse, tendono poi a compiere altri atti osceni. Trasformano in partigiani i terroristi di Hamas che combattono contro Israele. Trasformano, per fortuna in una piccola minoranza, in eroi gli ayatollah che combattono contro l’occidente. E magari non si indignano eccessivamente se un omicida uccide a sangue freddo in nome dell’anticapitalismo il dirigente di una società di assicurazioni. Sono una minoranza, certo, ma sono una minoranza reale e chiassosa dentro la timeline del mondo progressista.
E il dramma politico che attraversa il dibattito pubblico di oggi è il modo in cui alcune sinistre, in contesti diversi, facendo proprie anche una di queste battaglie illiberali, senza rendersene conto scelgono di abbracciare un virus illiberale perdendo credibilità, dunque, come argine contro l’illiberalismo della destra. I pazzi omicidi che lucidamente uccidono in nome dell’antifascismo i propri nemici non sono i simboli della sinistra, e ci mancherebbe, e chi specula su un omicidio politico in nome dell’antiviolenza non fa altro che compiere un atto violento. Ma quelle parole incise sull’arma che ha ucciso Kirk dovrebbero spingere a una riflessione precisa, che non riguarda la presunta radice violenta di “Bella ciao” (non diciamo sciocchezze). Riguarda la presenza dei finti partigiani della libertà che hanno compiuto in questi anni un miracolo politico: regalare alla destra più illiberale della storia moderna una patente spendibile per guidare, a colpi di imposture, la battaglia a difesa del free speech, di cui Kirk in fondo è stato un esempio tutt’altro che trascurabile. Il “fascismo degli antifascisti” è forse un concetto difficile da maneggiare oggi. Ma la deriva di quella sinistra antifascista che non riconosce i propri virus illiberali è un fatto fin troppo facile da fotografare. Speculare su “Bella ciao” sarebbe un’oscenità. Ragionare sui finti partigiani della libertà forse no.