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L'editoriale del direttore

L'opposizione batta un colpo e vada a Kyiv

Claudio Cerasa

Schlein & Co. possono dare un segno di vita in politica estera candidando Zelensky al Nobel per la Pace. Dimostrerebbero che il vero simbolo della lotta al terrore è il presidente ucraino, non Trump. Prendere nota

When in trouble, go big. When in trouble, go to Kyiv. C’è una battaglia insieme strategica e simbolica con cui l’opposizione italiana potrebbe prendere non due, come si dice, ma direttamente tre piccioni con un’unica fava. La battaglia insieme strategica e simbolica con cui provare a dare un segno di vita sul terreno scivoloso ma cruciale della politica estera comporta uno sforzo in più rispetto alla politica delle cittadinanze onorarie modello Francesca Albanese ed è una battaglia che riguarda la partita delle partite, verrebbe da dire la più antifascista delle partite esistenti oggi: la difesa dell’Ucraina dal neo fascismo modello Putin. L’opposizione italiana arranca da giorni in modo molto vistoso rispetto al suo posizionamento sul tema della difesa di Kyiv. E in una fase in cui la politica estera del governo ha fatto segnare alcuni punti – come la trasformazione della proposta italiana di creare per l’Ucraina un doppione dell’articolo 5 della Nato senza il coinvolgimento della Nato, prospettiva lontana ma proposta reale – il centrosinistra fatica a trovare una linea, una chiave di lettura, per mettere insieme responsabilità, senso dello stato e capacità di incalzare il governo sulla strada della difesa dell’Ucraina. Eppure, a ben vedere, come si dice, una soluzione ci sarebbe, insieme strategica e simbolica, e sarebbe quella di diventare i motori politici e mediatici di una candidatura che per questioni di realpolitik solo l’opposizione può promuovere: organizzare una spedizione a Kyiv per proporre il nome di Volodymyr Zelensky come prossimo Nobel per la Pace, come già fatto nel 2022 da 36 parlamentari europei (guidati allora da Guy Verhofstadt).

Le ragioni per candidare Zelensky al Nobel per la Pace, per candidarlo non direttamente, naturalmente, ma per mettere al centro del dibattito italiano e magari europeo la figura di Zelensky come vero alfiere della lotta contro il male putiniano, sono infinite. Ma per essere sintetici, come abbiamo già scritto mesi fa sul nostro giornale, Zelensky meriterebbe il Nobel per la Pace per essere stato, in questi tre anni e mezzo di eroica resistenza all’estremismo putiniano, l’incarnazione di un messaggio preciso: l’occidente ha la forza per non cedere ai dittatori, la democrazia sa come difendersi, la società aperta ha gli anticorpi per reagire alle aggressioni e i regimi illiberali che vogliono usare la forza per imporre la loro legge devono sapere che troveranno un muro solido formato da tutti coloro che vogliono difendere la pace per dire mai più. Se vuoi difendere la pace, fece pragmaticamente capire  lo stesso sant’Agostino a cui si ispira oggi Papa Leone XIV, devi sapere preparare anche la guerra – è sempre si vis pacem, para bellum – e non ci vuole molto a capire quali sono le tre fave che con un unico piccione otterrebbe a suo vantaggio l’opposizione al governo Meloni: mostrare vicinanza al popolo ucraino, mostrare lontananza dal fascismo putiniano, mostrare alla presidente del Consiglio una battaglia di puro buon senso che il capo del governo non potrebbe ovviamente abbracciare essendo ella stessa un’alleata speciale di un grande autocandidato al Nobel per la Pace, che risponde ovviamente al nome di Donald Trump.

E’ una battaglia semplice, quasi scolastica, ma è una battaglia che si può scegliere di combattere, e di portare avanti, ad alcune condizioni. Per farla, il Pd, insieme con i suoi alleati, dovrebbe considerare la resistenza armata dell’Ucraina come un motore di pace, non come un motore di guerra. Per farla, il Pd, insieme con i suoi alleati, dovrebbe considerare Zelensky un simbolo di resistenza, come lo considera il presidente della Repubblica, e non un simbolo di escalation. Per farla, il Pd, insieme con i suoi alleati, dovrebbe considerare Zelensky un simbolo dei nostri tempi, dovrebbe considerare l’abbraccio armato dell’Europa all’Ucraina come un simbolo dell’antifascismo moderno, dovrebbe considerare la difesa dell’Europa dall’aggressione russa come un simbolo dell’anti autoritarismo moderno. E dovrebbe avere, rispetto al tema del pacifismo, la stessa idea espressa anni fa da George Orwell in uno splendido saggio sul nazionalismo, pubblicato nel 1945: combattere contro quella minoranza di intellettuali pacifisti il cui movente reale, benché non ammesso, sembra essere l’odio nei confronti della democrazia occidentale e l’ammirazione per il totalitarismo. La battaglia sarebbe lì, facile, di fronte all’opposizione, ma per un’opposizione i cui leader, tranne Carlo Calenda, in tre anni e mezzo non hanno mai trovato un istante per portare il proprio abbraccio a Kyiv e a Zelensky anche le battaglie più semplici diventano battaglie impossibili. La strada però è lì. Candidare il presidente ucraino al premio Nobel per la pace per dimostrare che il vero simbolo della lotta al terrore si chiama Zelensky, non Trump. When in trouble, go  big. When in trouble, go to Kyiv. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.