
Ansa
Esondazioni e caso Almasri
La pazzia di una giustizia che processa pure il segreto di stato
Equilibrio dei poteri chi? Il Tribunale dei ministri archivia la posizione di Meloni ma non Nordio, Piantedosi e Mantovano. Cortocircuiti
Ieri il Tribunale dei ministri ha archiviato la posizione della premier Giorgia Meloni sul caso Almasri, ma ha chiesto l’autorizzazione a procedere contro tre figure chiave del governo: il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano. Secondo i giudici, avrebbero rafforzato un “programma criminoso” legato al rimpatrio forzato di un cittadino egiziano. Meloni no, perché – si legge – non sarebbe stata preventivamente informata. La notizia è clamorosa.
Non solo per il cortocircuito istituzionale implicito nel dire che tre ministri agiscono sul dossier della sicurezza senza coinvolgere la premier. Ma soprattutto perché segna un nuovo passaggio nell’esondazione giudiziaria: dopo l’ambiente, l’industria, l’urbanistica, ora la magistratura mette sotto accusa decisioni legate alla sicurezza nazionale e ai segreti di stato. E lo fa con l’idea che tutto, anche ciò che per definizione dovrebbe restare riservato, possa essere oggetto di valutazione penale. Non si tratta più di verificare la legittimità di un atto, ma di entrare nella testa dei decisori pubblici, ricostruirne intenzioni, omissioni, allusioni. Una supplenza sottile, che sposta il baricentro della politica verso l’aula del tribunale. E’ la logica del sospetto che si fa metodo. E che finisce per minare la distinzione fra responsabilità politica e responsabilità penale. Se ogni scelta di governo può essere riletta come potenziale illecito, se persino il funzionamento dell’intelligence viene messo sotto accusa, allora non è solo un governo a essere processato. E’ l’idea stessa di governabilità che si incrina. E con essa, l’equilibrio tra i poteri.