Giuseppe Pasini (Ansa) 

“L'accordo con Trump non è una resa. Attenti alla Cina” dice il capo di Confindustria Lombardia

Carmelo Caruso

Giuseppe Pasini: “Meglio la certezza di dazi al 15 del caos. La nostra siderurgia era già stata colpita nel primo mandato, ora servono tutele per meccanica e moda e una strategia comune europea sull'energia e sulla difesa. E occorre guardare a nuovi mercati”

È concreto come il ferro, la sua azienda e i bresciani. Giuseppe Pasini, presidente di Confindustria Lombardia, di Feralpi, la grande siderurgia lombarda, dice al Foglio che “l’Europa non ha capitolato”, che “l’incertezza era peggio dei dazi al 15 per cento” e che adesso “bisogna proteggersi dall’invasione dalla Cina”.

Presidente Pasini, in Scozia, con Trump, abbiamo perso la faccia o l’abbiamo salvata?

“Facciamo attenzione con le parole. Accogliamo con cauto ottimismo l’accordo siglato fra Trump e Ursula von der Leyen, il che non significa che i dazi non avranno conseguenze o che sia il migliore dei mondi possibili. Tutt’altro. Adesso però sappiamo che il dazio è del 15 per cento e sappiamo anche che si aggiunge alla svalutazione del dollaro. Voglio dire che da oggi possiamo tirare una riga, aprirci a nuovi mercati, difenderci provando ad abbattere il costo dell’energia”.

  

Si era sempre detto che sopra il dieci per cento i dazi erano insostenibili. È cambiato qualcosa o più semplicemente dobbiamo accettare il pagellone di Trump e il suo sconto?

“Parlo da presidente di Confindustria Lombardia ed è chiaro che il dazio per alcuni settori sarà sopportabile, per altri no. Soffriranno la meccanica, il manifatturiero, la moda e il tessile ma abbiamo la promessa, almeno così leggiamo, che il settore farmaceutico (e la Lombardia è il leader nel settore) sarà escluso in quanto settore strategico”.

   

Per la siderurgia cosa cambia?

“Nulla. Il dazio rimane al cinquanta per cento. Oggi come Italia esportiamo in America trecentomila tonnellate d’acciaio su un volume di 19 milioni. Il mercato americano, la verità, lo avevamo già perso durante il primo mandato di Trump. Stiamo giustamente guardando all’America ma io avverto: attenti. Non c’è solo l’America. Un altro effetto sarà difenderci della Cina”.

    

Dobbiamo negoziare anche con la Cina?

“Dobbiamo fare attenzione a cosa accade. Trump ha imposto dazi non solo all’Europa ma anche alla Cina e la Cina, di conseguenza, sta già riversando, inondando, con i suoi prodotti, l’Europa”.

   

La preoccupa più Trump o Xi Jinping?

“Mi preoccupa l’effetto che avranno dazi americani e vendite cinesi insieme. Ecco perché serve un’operazione di salvaguardia, tutela, delle nostre imprese, e deve farlo l’Europa”.

 

Mentre parliamo la politica italiana si divide tra chi pensa che il patto di Turnberry sia una “capitolazione di un continente” e chi pensa invece che sia un “accordo sostenibile”. Lei con chi sta?

“Con chi ragiona, con chi guarda i numeri. Quella con Trump è stata una trattativa dura e nessuno dice che non c’erano alternative. Bisognava trattare perché non si può fare a meno di un alleato strategico”.

  

Si dice in queste ore “dovevamo mostrare i muscoli”, “fargli vedere chi siamo” … l’Europa doveva mostrare più muscoli, usare l’arma finale della web tax?

“Sono frasi buone per la politica ma io non faccio politica e non voglio neppure entrare nelle legittime interpretazioni di una parte o dell’altra. Dico soltanto: quanto esportiamo in America? Ebbene esportiamo tre volte tanto rispetto a quanto l’America esporta in Europa”.

 

Le chiedo ancora: è una capitolazione?

“Non lo è ma senza dubbio è l’occasione per aprirci a nuovi mercati. Penso ai paesi Arabi, penso a i paesi del Mercosur e penso poi alla straordinaria occasione che ci offre il Piano Mattei. Inoltre è arrivato il momento di iniziare a parlare di Nato. Cosa accadrà quando l’America si disimpegnerà? C’è un piano ambizioso e a mio parere giusto da parte della Commissione europea. Ogni stato membro deve contribuire alla difesa, solo in quel modo l’Europa può essere libera e forte”.

 

Presidente Pasini, è stato giusto tenere rapporti con Trump, come ha fatto Meloni, o siamo di fronte alla solita ambiguità italiana, il non prendere posizione, lo stare in mezzo?

“E io credo invece che la posizione della presidente del Consiglio sia stata la migliore e penso che questo accordo sia stato possibile anche grazie alla porta aperta che Meloni ha lasciato a Trump”.

  

Anche lei ce l’ha con i dazi interni, europei, anche lei vuole usare il machete contro la burocrazia europea?

“Si può dire senza urlare che la burocrazia è stata un nemico dell’Europa, si può dire che bisogna andare sulle rinnovabili ma dire anche che serve il buon nucleare per renderci autosufficienti sul piano energetico. Solo così si può essere competitivi”.

 

Peggio dei dazi cosa c’è?

“L’incertezza che abbiamo vissuto in questi mesi. Adesso abbiamo un quadro, una cornice e sapremo reagire. Meglio la certezza di un accordo che l’incertezza di un possibile accordo”.

   

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio