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L'editoriale del direttore

Resistere, resistere, resistere. Il muro contro la gogna riservata a Milano è più alto del previsto

Claudio Cerasa

C’è un silenzio che pesa nel capoluogo lombardo e c’è un silenzio invece che viene rotto da chi ha scelto di non assecondare la spirale tossica del nuovo giustizialismo chiodato. Il bicchiere è mezzo pieno. Ma forse ci si può accontentare

C’è un silenzio che pesa, a Milano, e un silenzio che invece non c’è. Il silenzio che pesa è quello che riguarda una porzione importante della città, quella fatta di professionisti, di manager, di imprenditori, di avvocati, di banchieri, di finanzieri, non nel senso della finanza intesa come Guardia, che in questi anni hanno beneficiato di un modello di sviluppo urbano che ha portato benessere, efficienza, lavoro, ricchezza, e che oggi invece scelgono di tacere, di non difendere a viso aperto ciò che è stata Milano in questi anni e di non fare nulla per dimostrare che nella capitale finanziaria del paese esiste ancora una borghesia in grado di somigliare anche lontanamente a una classe dirigente. C’è un silenzio che pesa a Milano e c’è un silenzio invece che viene rotto, in modo sorprendente, da chi ha scelto invece di non assecondare la spirale tossica del nuovo giustizialismo chiodato.

Perché in fondo oggi l’inchiesta che sta colpendo Milano questo è. Non è solo un tentativo di accertare eventuali responsabilità individuali. E’ un tentativo di verificare se di fronte alle esondazioni della magistratura, di fronte alla trasformazione della cultura del sospetto in un dogma di stato, a differenza di quanto capitato attorno a Tangentopoli, esiste o no la volontà di ribaltare la logica della gogna, e di combatterla.

 

               

                                   

Qualche segnale positivo, da questo punto di vista, è possibile riscontrarlo. Su questo giornale avete letto le parole dell’ex presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, che ha messo in luce l’oscenità di un paese che ha scelto di non ribellarsi di fronte alla criminalizzazione della politica per via giudiziaria. Avete letto le parole dell’ex capo del pool di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, che ha denunciato il metodo della “pesca a strascico” nel caso dell’inchiesta milanese, invitando a non confondere le prove con le opinioni. Su altri giornali sono intervenuti con forza giudici emeriti della Corte costituzionale, come Sabino Cassese, che sul Tempo ha usato parole preziose “contro i magistrati garruli” che sembra abbiano scelto come propria missione di “educare gli italiani, di eliminare le storture, correggere, di insegnare la morale, piuttosto che fare il duro lavoro di chi giudica il singolo caso”. Sul Corriere della Sera, Goffredo Buccini, che ai tempi di Tangentopoli era in prima linea insieme con molti colleghi a trasformare le parole dei pm in perle di verità assoluta, ha suggerito ai colleghi “prudenza”. Su Repubblica, Michele Serra ha ricordato, con coraggio, che “contare sulla magistratura per cambiare le classi dirigenti significa rinunciare a fare politica”.

Nel centrodestra, Giorgia Meloni ha dato una lezione di realismo alla base giustizialista del suo partito ricordando che non basta un’indagine per trasformare un avversario politico in un colpevole fino a prova contraria. Il governatore Attilio Fontana ha dato una lezione di garantismo anche al suo partito, alla Lega, difendendo il sindaco Beppe Sala, su tutti i giornali, ribadendo, con più forza del partito che sostiene Sala, che il modello di sviluppo urbano del capoluogo lombardo non può essere trasformato in un’occasione per rendere contendibile una città. Il muro contro la gogna è più alto del previsto. In questo muro ci sono pochi tasselli milanesi, lo sappiamo, ma è un muro che comunque esiste, che ribalta la logica di un paese ostaggio della repubblica delle procure e che mette in minoranza tutti quei partiti che di fronte a un’inchiesta che non si limita a concentrarsi su eventuali responsabilità individuali chiedono la testa di un sindaco (il M5s) o chiedono al sindaco di restare solo a condizione che rinneghi il modello che la procura vuole processare (il Pd). Il nuovo resistere, resistere, resistere oggi è questo: all’Italia che trasforma gli indagati in condannati fino a prova contraria, alle procure che trasformano gli eventuali reati commessi dai singoli in occasioni per criminalizzare il mestiere della politica. C’è chi tace e chi dice no. Il bicchiere è mezzo pieno. Ma forse ci si può accontentare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.