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Redazione

I reati non chiari, i metodi ancora meno. L’incredibile caso di Ada Lucia De Cesaris

L’inchiesta della procura di Milano sul “modello Milano” presenta degli aspetti a dir poco singolari. Emerge ora che, nei vari filoni d’indagine sulla gestione urbanistica della città, è indagata l’avvocata ed ex vicesindaco Ada Lucia De Cesaris con l’accusa di “tentata concussione”. La De Cesaris aveva subìto una perquisizione, con sequestro del telefono e del pc, a novembre del 2024 senza però essere indagata. Così l’avvocata si è opposta alla misura, chiedendo l’annullamento del sequestro, ma si è vista respingere la richiesta dal gip che invece ha chiesto ulteriori “approfondimenti investigativi” rispetto a ciò che era emerso dalle sue chat con persone coinvolte in un progetto edilizio. E pertanto la procura l’ha iscritta nel registro degli indagati perché, secondo quanto riportato in alcune informative della polizia giudiziaria, “emerge una costante ingerenza” della De Cesaris “nelle vicende interne all’amministrazione comunale” visto che “a volte suggerisce disposizioni che appaiono invece di competenza della giunta”.

Pur ammettendo che l’avvocata si facesse portatrice presso l’amministrazione comunale, grazie ai suoi contatti personali, delle richieste o degli interessi di qualche parte imprenditoriale, non si capisce  in che misura questa – che sembrerebbe semplicemente la sua attività professionale – possa essere considerata “concussione”. Soprattutto perché la De Cesaris era vicesindaca dieci anni fa: non è un pubblico ufficiale, che è la condizione per commettere il reato di concussione. Ma, soprattutto, a lasciare perplessi sono anche le modalità: si perquisisce una persona, si sequestrano i suoi dispositivi, si guarda tra le sue conversazioni e infine la si iscrive nel registro degli indagati. Sembra quasi, come procedura, che prima si individua l’obiettivo, poi si cercano le prove e infine si individua il reato. A suo modo, questa piccola vicenda, è un modello dell’inchiesta della procura di Milano sul “modello Milano”: i reati non sono chiari e i metodi ancora meno.

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