In procura

Il rovescio del buon carattere del procuratore capo di Milano Viola: ogni pm fa come gli pare

Gianluca De Rosa

Tutti riconoscono ì doti di diplomatico al Papa straniero della procura di Milano. Ma ad accontentare tutti il rischio sono scelte discutibili e un'inflazione di indagini dall'esito incerto. Un inventario

Attento, diplomatico, accomodante. L’ordine degli aggettivi può variare, ma tra chi ha conosciuto nei suoi ormai oltre 40 anni di onorata carriera Marcello Viola, procuratore capo a Milano, sono sempre queste le prime tre parole a spuntare per descriverlo. Viola è stato nominato a capo della procura del capoluogo milanese nell’aprile del 2022 per placare gli scontri interni ai pm figli di Tangentopoli. Sembrava una rivoluzione. La procura di Mani Pulite, la roccaforte di Magistratura democratica, il regno di Borrelli e Bruti Liberati, nelle mani di un magistrato non cresciuto negli anni e nelle atmosfere del pool: il Papa straniero. E che per di più è iscritto a Magistratura indipendente, la corrente moderata della magistratura. Incredibile. 

 

Non mancarono le male lingue. Qualcuno disse persino che Viola fosse troppo vicino alla destra politica. Grande amico di Ignazio La Russa, si mormorava. Sono bastate le inchieste su Daniela Santanchè e sul figlio di La Russa per silenziare questi pettegolezzi e far capire che con il presidente del Senato Viola condivide davvero soltanto due cose: la Sicilia nel sangue, è di Caltanissetta, e l’Inter nel cuore. Dicono che nel suo studio sia tutto un profluvio di gagliardetti e magliette neroazzurre. Persino durante la conferenza stampa sull’inchiesta che ha portato all’arresto dei capi delle curve dell’Inter e del Milan, il procuratore si è presentato con una cover dello smartphone con lo stemma della sua squadra del cuore, generando più di qualche sorriso. Chi lo ha conosciuto ai tempi di Palermo ne parla come di “uno che non se l’è mai tirata. Molto sui generis per un pm”. Mai una parola fuori posto, mai uno strafalcione in una delle sue indagini. Capace persino di fare un passo indietro, come quando sognava di guidarla, la procura di Palermo, ma capì che la sua candidatura avrebbe creato nuove fratture. “Non è di certo uno che sbatte i pugni sul tavolo e dice ‘qui comando io’. E’ così anche nella gestione dei sostituti”, dice invece chi lo ha conosciuto quando guidava la procura di Firenze.

 

A vedere quello che sta succedendo con le inchieste di Milano si capisce che anche la diplomazia, l’arte di saper accontentare tutti, ha il suo rovescio. Con più di cento zelanti sostituti procuratori, voler accontentare tutti può portare all’anarchia, all’inflazione di inchieste, il cui esito è tutt’altro che scontato. La sensazione è che a Milano ognuno possa fare quello che vuole. L’aggiunta Tiziana Siciliano, con le sue inchieste sull’urbanistica, può mettere sotto accusa un intero modello di collaborazione pubblico-privato, al di là dell’eventuale commissione di reati, e sembra essere stata presa di mira. Il pm Paolo Storari contesta le catene dei subappalti, come nel caso Loro Piana, e attraverso l’arma penale fa dei committenti i responsabili penali dei reati commessi dai fornitori. A ogni battaglia Viola apporrà comunque la sua firma. Il procuratore capo di Milano non ha neppure pensato di non confermare l’incarico al pm Fabio De Pasquale per il terzo filone del processo Eni-Nigeria, per il quale qualche giorno fa è stato assolto il presunto distributore della mazzetta milionaria, il nigeriano Aliyu Abubakar. E pensare che proprio De Pasquale aveva guidato i due filoni principali già severamente bocciati dai giudici e, per quello stesso processo, era stato condannato in primo grado per aver omesso di depositare prove favorevoli alle difese, ottenendo persino il declassamento del Csm da aggiunto a sostituto procuratore. Tutto, insomma, avrebbe suggerito a Viola di non affidare a De Pasquale il ruolo dell’accusa nel processo, ma niente. Nuova assoluzione e nuova figuraccia per la procura, e poco importa che quest’esito fosse davvero facilmente prevedibile.


Capita così anche che a Milano ogni notizia abbia quasi istantaneamente un riflesso giudiziario. Come con la vendita dello Stadio San Siro. Appena arrivata la proposta di Milan e Inter per l’acquisto, la procura ha aperto un’inchiesta per potenziali danni alle casse pubbliche. E che problema c’è poi a fare guerra alla politica a colpi di comunicati stampa e appelli alla Corte Costituzionale? Come accaduto ad aprile scorso, quando un gruppo di pm ha chiesto al Gip di inviare alla Corte Costituzionale gli atti dell’istanza di archiviazione delle indagini su Milano-Cortina. Secondo i magistrati, il decreto per le Olimpiadi sarebbe incostituzionale perché stabilisce la natura privatistica della fondazione Milano-Cortina. Una norma che ha di fatto azzoppato le indagini – che si basavano sulla sostanziale natura pubblicistica dell’ente – e che, dunque, per questo, doveva essere per forza incostituzionale. Viola non ha fermato neppure le intemperanze di Francesco De Tommasi, nuovo aspirante pm d’assalto della procura lombarda che, da titolare del caso Pifferi, ha pensato bene di aprire un’indagine parallela contro la legale di Pifferi e le psicologhe che hanno condotto la perizia di parte, con tanto di intercettazioni. Il procuratore capo, nelle scorse settimane, ha dato il suo via libera alla richiesta di De Tommasi di chiedere l’astensione del giudice Roberto Crepaldi dall’udienza preliminare sull’inchiesta parallela. E questo perché Crepaldi, all’epoca delle polemiche, aveva firmato un comunicato dell’Anm di Milano in cui si ribadiva “la centralità per tutta la magistratura della funzione difensiva”.